Amore cristiano per i poveri
A distanza di qualche tempo dalla pubblicazione di Evangelii gaudium, è possibile registrare le reazioni che l’esortazione programmatica di papa Francesco ha suscitato. Sono poche quelle dei giornali e dei media, perché il documento, lungo e complesso, è difficilmente descrivibile in titoli sensazionali.
Delusioni ed entusiasmi
Scontate sono anche le reazioni negative dei cosiddetti tradizionalisti, rimasti male per il tono dimesso e feriale del testo e per le sue affermazioni sulla gerarchia delle verità, che riduce di molto le loro battaglie ideologiche, per una liturgia tornata a essere celebrazione popolare, più che rito solenne, e soprattutto per la ripresa e il rilancio dei documenti e dello spirito del concilio Vaticano II, tornato di attualità.
Gioiose ed entusiastiche sono le reazioni del popolo cristiano, che sente di nuovo la freschezza del vangelo e la prossimità della chiesa, e si rallegra che la compassione e la misericordia riprendano il loro posto nella pastorale della chiesa. Già si parla di “effetto Bergoglio”, che riavvicina alla chiesa chi l’aveva abbandonata: “Sentiamo, dicono, che la chiesa è tornata casa nostra, nostra madre”.
La gioia del vangelo e il mondo degli affari
Aspra è stata invece la risposta del mondo degli affari, irritato per l’accusa di complicità rivolta al suo sistema economico e finanziario, responsabile della persistente povertà e del degrado sociale nel mondo attuale.
Tra le parole del papa che più colpiscono il lettore di Evangelii gaudium, infatti, sono quelle che si riferiscono ai poveri e che denunciano l’attuale sistema economico e politico: “Oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e dell’inequità” (53) perché è “un’economia che uccide”. Il papa si meraviglia che la morte di un anziano ridotto a vivere per strada non faccia colpo più degli alti e bassi della borsa.
Ed è scandaloso, continua il papa, che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame; che la società attuale pratichi la legge del più forte “dove il potente mangia il più debole”; che condanni così grandi masse di gente ad essere escluse ed emarginate “senza lavoro, senza prospettive, senza vie d’uscita”; che consideri l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare.
Un’indifferenza globalizzata
Francesco chiama la nostra la “cultura dello scarto” (53). Questa è la ragione per cui il papa deve denunciare le teorie liberistiche secondo cui “ogni crescita economica riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo… Un’opinione mai confermata dai fatti, che esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante” (54).
Di qui viene una “globalizzazione dell’indifferenza”, che spegne la compassione per il grido di dolore degli altri, come se fosse una responsabilità estranea che non ci compete.
“La cultura del benessere” funziona da anestetico e ci fa perdere la calma, “se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo” (54).
I poveri nel cuore di Dio
Il papa si scusa di dover fare denunce così gravi. La scelta dei poveri non è contro nessuno, perché il papa ama tutti (58), poveri e ricchi. Ma vorrebbe che tutti capissero che l’opzione preferenziale per i poveri non è una scelta sociologica o politica, ma un’esigenza teologica. Essa deriva dal fatto che “nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri” e che Gesù si è identificato con loro.
Per questo il papa desidera che la chiesa sia “una chiesa povera per i poveri” (198), che i poveri siano al centro della comunità cristiana, non come oggetti dell’assistenza e della promozione, ma come soggetti che hanno qualcosa da insegnare alla chiesa e alla società. Si deve guardare il mondo con gli occhi dei poveri e fare le scelte a partire da loro.
Bisogna amarli e apprezzarli (199), dice papa Francesco e “nessuno deve sentirsi esonerato” (201) dal preoccuparsi per i poveri e i deboli, facendoci solidali con loro.
Non entra anche questo in quella conversione pastorale e missionaria alla quale il papa c’invita e che viene a proposito in questo tempo di quaresima?