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America Latina: Quercia e Bananiera, Riflessioni al tornare in Brasile

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Tema del "Paginone" di questo numero: "La stessa missione: tanti modi per viverla - Annunciare il Vangelo e sostenere lo sviluppo umano"

P. Renato Trevisan è ripartito per l’Amazzonia, nel nord del Brasile. La vigilia della partenza, ha celebrato la messa con tutti i saveriani a Parma, nella "Cappella dei Martiri", al primo piano dell’Istituto. Non è stato un caso: "Quel luogo e quel momento mi sembravano l’aeroporto più sicuro, la pista migliore per alzarsi in volo", ha detto padre Renato ai presenti.

Gli abbiamo chiesto di confidarci sentimenti ed emozioni, al momento di ripartire, dopo tanti anni.

Mi accompagna un sentimento di gratitudine verso il Signore, dal momento che mi ritiene ancora in grado di annunciare il vangelo secondo le modalità volute dal beato Conforti. La bellezza del momento - quasi tutto invisibile, interiore, in un tempo che cerca le apparenze, la prima pagina - viene dal fatto che ancora oggi, attraverso la mia persona, si ripete in un clima di fede l’invio e la partenza di un missionario. I grandi fatti avvengono nel silenzio e nella semplicità.

Nella "Cappella del Martiri" si è ripetuto per me il rito celebrato e vissuto dal Fondatore e da tanti altri missionari partiti per la Cina. Non mi è difficile sentire l’eco del suo invito a portare nel mondo il Crocifisso, contemplato e pregato. Non mi vergogno a parlare in questo modo: primo, perché è ciò che sento; secondo, perché porto con me l’eredità e l’esperienza missionaria di cento e più anni di vita della nostra Famiglia saveriana.

Questa nostra Famiglia missionaria: non so se paragonarla ad una quercia centenaria o ad una bananiera, alla pianta di banano.

Se penso alla quercia, allora dico che la nostra famiglia è robusta, è solida, ha resistito e resiste a tante difficoltà in tante parti del mondo (Centro Africa, Sierra Leone, Indonesia, Bangladesh…e altrove ancora). Ha messo radici profonde, che hanno raggiunto terreni lontani per nutrirsi e crescere, per irrobustirsi e formare rami nuovi. I saveriani, infatti, non solo vanno in tutto il mondo, ma provengono da tutti i continenti. Nella corteccia ci sono anche delle escoriazioni; c’è qualche ramo spezzato e secco. Ma la quercia è lì.

Se penso alla bananiera, allora dico che non si raccolgono e mangiano banane se non si taglia la pianta, affinché si rinnovi. Non c’e vita senza la morte, in qualche modo, "di chi dà la vita". Non sono parole mie, le dico perché sono vere e sperimentate dal Signore Gesù e da coloro che l’hanno seguito fino in fondo. Ma chi conosce la pianta che dà i caschi di banane, sa che attorno al fusto adulto, crescono quattro o cinque piante figlie, pronte ad immolarsi per dare al momento giusto il loro casco di frutti.

La pianta di banano è la sorella tropicale della vite mediterranea. Sono sicuro che se Gesù fosse nato e vissuto lungo le rive del fiume Xingu, grande affluente del Rio delle Amazzoni, avrebbe parlato della "Bananiera e dei suoi germogli che le fanno corona", un’edizione della parabola della vite e dei tralci per le zone equatoriali. Non insisto su queste due immagini, ma a me dicono molto!

Sono trascorsi sette anni da quando ho lasciato l’Amazzonia brasiliana e in particolare la Regione dello Xingu, abitata da varie tribù di indios.
In questi anni non mi sono mai dimenticato di loro, specialmente degli indios Kayapò, che ho conosciuto di più, perché sono vissuto con loro una decina d’anni. Non avrei immaginato che avrei concluso la mia presenza e servizio alla Direzione generale dell’Istituto, presentando il loro mondo, la loro vita quotidiana, la loro vicenda umana, la loro cultura, alla gente di Parma, attraverso la Mostra allestita appositamente, ed ora a disposizione di tutta l’Italia.

Devo ammettere che proprio attraverso l’esposizione della Mostra, gli indios Kayapò hanno dato a me, un’occasione straordinaria di evangelizzazione: Dio è presente nel mondo e nella storia, e vuole tutti salvi. Grazie alla missione tra i Kayapò, ho avuto la gioia, anche se faticosa, di fare animazione missionaria e promozione vocazionale in Italia.

Dei sei anni trascorsi a Roma, ciò che particolarmente rimane e porto con me è la prova della sublimità del nostro carisma missionario. Ce lo ha detto e ripetuto il beato Fondatore: niente di più bello che essere chiamati, in modo misterioso, ad annunciare il Signore e il suo vangelo. Niente è più grande di questo annuncio, niente è più prezioso di questo dono offerto.

Questo è l’unico tesoro per cui vale la pena "vendere tutto per comprarlo".

Questa affermazione è vera; è comprovata dalla vita di tanti confratelli, primi tra tutti gli ammalati gravi, gli anziani ormai inabili alla missione diretta, e i tanti confratelli impegnati nelle varie missioni. I missionari sono il bene più prezioso che la nostra Famiglia possiede. Dobbiamo proporre il loro esempio e l’ideale della missione a tanti altri, soprattutto ai giovani. E’ l’ideale della missione "ad extra, ad gentes e ad vitam" - parole latine per dire che noi saveriani andiamo lontani dalla nostra patria, dove non ci sono cristiani, e questo impegno lo prendiamo per tutta la vita, per sempre. Per questo ideale vale la pena fare ogni sacrificio.

  • p. Renato Trevisan, sx
    da poco tornato in Amazzonia


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