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LA PAROLA
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?  Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande (Lc 6,43-49).

Si chiude su una nota negativa il discorso delle Beatitudini: “la distruzione di quella casa fu grande”. Ritroviamo qui le due vie poste di fronte all’uomo: la beatitudine o l’infelicità. All’uomo spetta scegliere e assumerne le conseguenze. Ci fa bene questo richiamo alla concretezza in un tempo che sembra prediligere le sensazioni, l’inghiottire ossessivo immagini su schermi piatti che ci fanno illudere di conoscere la realtà e di essere per questo in grado di cambiarla.

Riformulando Descartes: “Vedo, scorro siti su Internet, dunque esisto”. Ma “coloro che vivono di sensazioni - scriveva Simone Weil - non sono, materialmente e moralmente, altro che parassiti rispetto agli uomini lavoratori e creatori, i quali soltanto sono uomini. In definitiva, la ricerca della sensazione implica un egoismo che, per quanto mi concerne, mi fa orrore. Essa non impedisce, evidentemente, di amare, ma induce a considerare gli esseri amati come semplici occasioni di godimento o di sofferenza e a dimenticare che essi esistono di per sé. Si vive in mezzo a fantasmi. Si sogna, piuttosto di vivere”.

Si potrebbe pensare che, finchè ci si nutre di senzazioni, non si fa alcun male. Invece no. Si diventa rinsecchiti, al riparo dalla salutare imperfezione della vita reale. Bisogna vivere, non illudersi di vivere. È meglio un po’ di pane secco di uno immaginato. Tuttavia, neanche i fatti bastano. Luca ci fa tornare indietro, a riprendere una verità scomoda: le cose, le parole, per essere buone devono sgorgare da un cuore buono. Il cuore, nella Bibbia, è il centro delle decisioni, il santuario della coscienza, della libertà. E il cuore va coltivato. “Va’ dove ti porta il cuore”, si dice oggi. Ma il cuore porta dove gli pare e piace. Se non è stato educato, è anche capace di cose terribili.

Gesù non sa cosa farsene di quelli che si riempono la bocca con il nome di Dio e poi gli remano contro. I veri praticanti non sono i fedeli al culto, ma quelli che, dopo avere ascoltato attentamente le sue parole, le mettono in pratica in questo nostro e benedetto mondo. Basterebbe cominciare dal non rendere la vita di nessuno più difficile di quanto già lo sia. Non avvelenare l’ambiente con la nostra amarezza, creare intorno a noi relazioni diverse, cordiali. L’immagine delle due case la dice lunga su questa verità. Viste da fuori, sembrano identiche. Poi, basta la piena di un fiume e una delle due crolla. Costruire un cuore buono costa fatica, perché il seme della Parola deve toccarne le fondamenta, altrimenti non resiste alle tempeste del vivere. “È tempo che il sasso si adatti a fiorire, che per l’inquietudine batta un cuore. È tempo che sia tempo... È tempo”, direbbe Paul Celan.



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