A Betlemme non c’era posto per loro
Il Sogno d’un pezzo di terra, da Ruzo Burundi
Se n'è finalmente andato il vecchio Saidi Kibebe. Un po' curvo, meno trionfante di quando, qualche minuto prima, si era annunciato con un imperiale "Buongiorno!". Quando vi dicono di essere venuti per farvi visita, bisogna invariabilmente attendersi una domanda di aiuto. Quel volto incartapecorito non mi riusciva nuovo, ma fu il suo nome a ricordarmi una vecchia conoscenza, una delle tante persone che per merito di voi, cari amici lettori di "Missionari Saveriani", ha potuto ricevere un pezzo di terra su cui ricostruire una vita.
Certo, ben diversa da quella di un tempo. Gli occhi dei Saidi brillavano mentre antichi ricordi affluivano l’uno dopo l’altro. Di quando bambino arrivò nel mitico Rwanda, un paese che in quei tempi si tingeva di chiarori mitici, una terra dove c’era ancora posto per chi volveva coltivare. E dopo il podere arrivò un gregge di mucche: “venti!”. E figli, uno dopo l’altro. Il maggiore commerciante, proprietario di due negozi. “Veniva spesso a trovarmi e mi portava certi pezzi di carne. Mi diceva: “Tu sei stato il mio benefattore, mi hai messo al mondo. E adesso penserai a te.” E c’era un secondo, professore, molto stimato. E ce n’erano altri sette.
A questo punto il vecchio Saidi si passò sul viso la manica di maglia per scacciare una lacrima che si era mescolata ai ricordi, e mi guardò con sospetto: “Pensi che a quei tempi avrei indossato uno straccio come questo, che mi hanno regalato la settimana scorsa? E che sarei andato a piedi scalzi?”. A questo punto il sorriso era ritornato ad illuminare il fiume dei ricordi che continuavano a snodarsi. Fino a quel mattino di maggio in cui arrivò la morte, e si portò via tutti i suoi figli. Saidi ignora ancora quali mani abbiano distrutto la sua famiglia e tutto quello che possedeva, spingendolo a forza sui sentieri dell'esilio.
Dove si è trovato privo di tutto, perfino dell'acqua da bere. E con cinque nipotini a carico, in una terra per lui straniera, anche se la deve considerare nazione sua, dove fino a pochi giorni fa non conosceva nessuno. Adesso il suo problema è quello di trovare le sementi per il suo campo. Ma gli ho spiegato che questo problema non mi riguarda: c'è la comunità cristiana che lo aiuterà. Ci sono altri come lui, che fin dall'anno scorso hanno ricevuto un podere, e adesso devono ad ogni raccolto portarmi un pò di fagioli da distribuire fra quelli che sono più poveri di loro.
Pensavo di potervi annunciare da queste pagine la conclusione dell'iniziativa che nell'autunno dell'anno scorso vi avevo presentato, e che ha avuto dei buoni risultati: avevo l'elenco di 150 famiglie, e sono riuscito ad aiutarne 180, accogliendo dunque altri amici. Purtroppo continua l'arrivo di profughi, scacciati dalle loro case.
"Una semplice procedura amministrativa", la definiva un notabile di qui: si tratta della decisione con cui improvvisamente il governo del Rwanda ha dichiarato indesiderabili migliaia di cittadini Barundi, arrivati alcune decine d'anni fa, ed ora costretti a tornare in uno stato che è indicato come il loro, ma in cui non trovano assolutamente niente che li accolga. Alcuni fra loro, a centinaia di km da qui, hanno sentito che a Ruzo, un villaggio sperduto, stretto tra le frontiere della Tanzania e del Rwanda, altri infelici come loro hanno ricevuto un aiuto insperato.
Ed eccoli qui, a raccontarmi la loro storia, atrocemente monotona. Ed ad ascoltare da un mese ormai la stessa risposta: "Miei cari, non ho più niente. Andate altrove". Già; ma dove esiste questo "altrove" nella geografia della miseria? E così amici sono costretto a chiedervi ancora di pensare a noi, a questa isola di pace (la pace umile e povera, sempre minacciata), che galleggia su una palude di morte. Come vi dicevo l'anno scorso un milione di lire è ampiamente sufficiente per salvare una famiglia, perché con questa cifra io posso acquistare un ettaro e mezzo di terreno. Ho tanta speranza in voi.