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Stavo percorrendo l’autostrada verso Parma, per partecipare alla festa di san Guido Conforti, il mattino del 5 novembre. Altri confratelli erano già nella nostra “casa madre”, dove il santo fondatore aveva formato tanti missionari annunciatori del vangelo.

Ero sintonizzato su “Radio 24”, che dava il programma “24 Mattino”, diretto da Alessandro Milan. Il conduttore annuncia che si parla di eutanasia e di diritto a morire, con la partecipazione di Mina Welby, Paola Binetti e Gianluca Nicoletti. Nei giorni precedenti tv, radio e giornali avevano ampiamente diffuso la notizia della morte di Brittany Maynard, la giovane statunitense di 29 anni che, dopo aver appreso di avere un tumore al cervello e aver annunciato in rete la sua intenzione, ha messo fine alla sua vita il 1° novembre, festa liturgica di tutti i santi. Era convinta così di darsi una “morte dignitosa”.

Il dibattito è stato molto ampio e amplificato, anche perché il suo video su youtube è stato visto da almeno dieci milioni di persone. Nessuno può emettere un giudizio su una scelta di coscienza così delicata e definitiva.

Ma è giusto riflettere sulla dignità del dolore e sulla dignità della morte, che rimangono un profondo inspiegabile mistero.

Nel dibattito alla radio, mi ha colpito l’intervento dell’invitato speciale Gianluca Nicoletti. Per lui è “assolutamente naturale” che si decida quando e come morire, come fanno i martiri: “Abbiamo portato sugli altari bambine che si sono fatte ammazzare per non subire un atto sessuale; perché scandalizzarci se una giovane segue la propria coscienza e sceglie la morte?... Brittany ha compiuto un gesto eroico, ha testimoniato ciò in cui credeva, esattamente come hanno fatto coloro che si sono fatti uccidere per la propria convinzione religiosa…”.

È esattamente il contrario. Togliersi la vita ed essere ammazzati non è la stessa cosa. Nessun martire sceglie di morire; men che meno programma la sua morte. Il martire vuole la vita, ma non gliela concedono. Anzi, i carnefici mozzano la sua voglia di vivere e di testimoniare la fede.

Così è avvenuto anche per le nostre tre sorelle saveriane. Erano tornate in Burundi per continuare la loro missione nella debolezza dell’età avanzata, senza la pretesa di fare grandi cose: volevano solo vivere accanto ai poveri e ai malati, alle madri e ai loro bambini. Non è stato loro concesso: le hanno fatte fuori, contro la loro volontà, e non si capisce il perché.

Le stesse atrocità vengono commesse in tante parti del mondo, con i cristiani perseguitati e messi a morte, perfino bruciati vivi nelle proprie case: vogliono la vita, ma li fanno fuori. Come hanno fatto fuori Reyhaneh Jabbari, la donna iraniana di 26 anni, impiccata per aver contrastato il suo stupratore. Ha scritto una lettera: “Mia dolce madre, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi e il mio cuore diventino polvere…”, e ha chiesto che i suoi organi vengano “dati a chi ne ha bisogno, come un dono”.

Ci sono poi alcuni (troppi) che riescono a odiare talmente gli altri, da disprezzare la propria vita fino a farsi esplodere per uccidere altri esseri umani inconsapevoli.

Li chiamiamo “kamikaze”: ma, almeno per noi, non sono eroi e non godono di buona fama.



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