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Missionario in quattro continenti

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Dopo tanti anni passati al servizio del vangelo in terre equatoriali, la mia congregazione mi ha chiesto di dedicare anche alla regione italiana un tempo della mia vita. Ho accettato, chiedendo però un posticino “al caldo”, lontano dai rigori delle temperature del Nord. Così, sono arrivato nella comunità dei saveriani di Taranto.

Mi chiamo Cesare, sono nato a Schio, una cittadina del vicentino ai piedi del monte Pasubio, e ho 68 anni. Sono un saveriano della “gavetta”, tutta la mia formazione l’ho svolta nelle case dei saveriani. Dopo il terzo anno di Teologia, ci è stata offerta la splendida possibilità di un’esperienza in missione. Assieme ad altri due compagni, sono andato in Inghilterra per lo studio della lingua e poi in Indonesia. È stato un momento molto importante nella formazione, mi ha aiutato ad affinare gli strumenti per il mio lavoro (le lingue), ad uscire e aprirmi al mondo.

Dopo l’ordinazione, mi è stato chiesto di dedicare qualche anno di servizio alla regione italiana e poi sono stato destinato a Buenaventura, in Colombia, una città sulla costa dell’oceano Pacifico, con una popolazione composta per il 90% da discendenti di africani. È la città adottiva degli afro-americani colombiani. È stato un momento fondante della mia vocazione. Nella parrocchia del “Sagrado Coraçao” ho toccato con mano la bellezza del mio ministero sacerdotale, la “gelosia” e la vicinanza affettiva della gente con i presbiteri. È proprio vero: a ogni rinuncia, Gesù aveva promesso il centuplo e il centuplo è ciò che ho ricevuto.

L’America Latina mi ha insegnato in primo luogo il rispetto e l’amore per la Parola di Dio. Ricordo ciò che mi disse una signora d’età avanzata che era rimasta in preghiera nella chiesa, dopo una celebrazione molto animata e movimentata, più per giovani che per anziani. Le ho chiesto che cosa ne pensasse. Mi aspettavo delle lamentele, ma lei rispose: “Celebrazione meravigliosa! Io vengo qui non per ascoltare opinioni o idee, ma per ascoltare ciò che il Signore ha da dirmi”.
Un secondo insegnamento è stato quello di celebrazioni partecipate, gioiose e vive in una comunità solidale che, pur nella povertà, si faceva carico delle sofferenze dei più poveri.

Dopo due anni passati a Roma nell’approfondimento della Bibbia, sono stato interpellato dalla Direzione generale per l’apertura di una nuova missione in Mozambico. I saveriani avevano deciso, su proposta dei confratelli brasiliani, di aprire una nuova missione in quella nazione, ma all’appello si sono resi disponibili solamente 2 missionari. Fu così che, nel 1998, andammo ad aprire questa nuova missione.

Abbiamo cominciato con lo studio della lingua cisena, una lingua banthu, e poi ci siamo messi a servizio dei responsabili delle comunità che, da ben 27 anni, non avevano il presbitero. Fu un’esplosione di comunità: nella parrocchia a noi affidata incontrammo 34 comunità, nel 2005 già ne contavamo 90. Si sono aperte scuole di alfabetizzazione e scuole superiori.

Nel 2000 abbiamo pubblicato la Bibbia in cisena, qualche anno dopo il Messale. Si sono organizzati incontri per i vari ministeri. Appena arrivati la nostra diocesi aveva solo 7 presbiteri diocesani, adesso sono più di 40. Il vescovo mons. Jaime Pedro Gonçalves, in una visita, ebbe a dire che gli sembrava di rivivere i tempi degli Atti degli Apostoli, per la partecipazione e l’entusiasmo incontrati in quella parrocchia. In Mozambico ho trovato una chiesa ministeriale. Le parrocchie (con 50, 100, alcune arrivano ad avere 300 e più comunità), dovettero pensare di organizzarsi con i ministeri. Il terzo Sinodo Diocesano di Beira ha indicato 4 campi attorno ai quali costruire il proprio essere chiesa e, di conseguenza, i ministeri: chiesa che vive; chiesa che evangelizza; chiesa che celebra; chiesa che serve. Nella preparazione alla Cresima si chiede ai candidati di individuare il ministero con il quale il Signore li chiama a servire la comunità. Ogni cristiano con la propria responsabilità.

Ora, sono qui pronto a camminare insieme. Non fatemi mancare il vostro aiuto. Non posso terminare questo mio intervento senza dire qualcosa sul ciclone IDAI che ha colpito Beira, sede della nostra diocesi, una città con 600mila abitanti. Il ciclone ha distrutto il 90% delle case il 14 e 15 di marzo 2019 e si sono registrati più di 600 morti. Per le condizioni igieniche lasciate dal ciclone è scoppiato il colera e la malaria si è sviluppata in maniera esponenziale. Tuttora, sto ricevendo notizie di persone conosciute che ci hanno lasciato. Anche per loro chiedo la vostra preghiera e solidarietà.



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