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Quando i lettori di Missionari Saveriani leggeranno questo editoriale, sarò già partito per il Burundi. Là resterò soltanto per due mesi, purtroppo. Fra le ragioni per cui mi recherò laggiù anche quest’anno non c’è più l’insegnamento della teologia nel seminario maggiore nazionale. La direzione avrebbe voluto che prolungassi quel servizio anche quest’anno. Ma io ho pensato bene di non accettare, per non impedire ai sacerdoti locali di assumersi il compito di formare i futuri loro confratelli.

Questa volta mi reco in Burundi per tenere alcuni corsi ai futuri saveriani burundesi e agli aspiranti religiosi e religiose di altri istituti internazionali che frequentano un anno di propedeutica. È un’introduzione alla scuola di filosofia.

Come mai vai proprio ora?

Più di qualcuno, sapendo che sto per partire per il Burundi, mi guarda con uno sguardo misto di sorpresa e di paura. “Come mai vai ora, mentre quel Paese sta attraversando un periodo di turbolenza in cui sta rinascendo quella guerra civile che ha insanguinato il Paese fino al 2005? Non è una mancanza di prudenza?”.

Sì, forse lo è, visto che da aprile 2015 ci sono dei disordini provocati da coloro che sono contrari all’attuale corso politico. Ci sono stati già molti morti, oltre quattrocento quelli conosciuti, più gli altri che in queste circostanze non si possono neanche contare. C’è stato un colpo di stato fallito con un’inevitabile repressione che ha moltiplicato il rischio di una nuova guerra. A nulla sono servite le pressioni internazionali per portare al dialogo le parti in conflitto...

“E tu ci vai? Che cosa credi o speri di poter fare?”

Vado perché sono missionario

Queste domande me le sono poste anch’io in questi mesi e ho cercato di trovare delle risposte. La prima ragione è che sono missionario e quella è la missione per la quale sono diventato saveriano oltre cinquant’anni fa; è la missione nella quale ho speso la mia giovinezza pastorale, prima di essere “sequestrato” in Europa per compiti direttivi. Là ho speso le mie migliori energie e ancora oggi posso raccogliere qualche frutto, conoscendo la gente, la lingua locale - il kirundi - e la cultura del Paese. Inoltre, i miei confratelli sono là, esposti più di me ai rischi di questa situazione e vi rimangono senza troppi dubbi.

In terzo luogo, andare senza avere dei compiti fissi, all’infuori di quei pochi corsi scolastici, mi offre l’occasione di essere a disposizione del clero locale, che in questi ultimi anni mi ha chiesto di offrire delle sessioni di formazione e di recyclage (aggiornamento).

Là mi è più facile vivere il vangelo

C’è infine quella ragione che tutti chiamano il “mal d’Africa”, un virus che attacca chi ha passato qualche tempo in quel continente magnifico e provato.

È una malattia inguaribile che ha come causa, da una parte, la bellezza della natura, la simpatia della gente, la facilità delle relazioni. Non si può dimenticare la sofferenza di quella popolazione. E questo non ti permette più di abbandonarla.

C’è un’altra ragione che voglio - pur con un certo pudore - affermare: là mi è più facile incontrare Gesù Cristo e vivere il vangelo.

Andando là, avrò l’occasione di vivere il tempo pasquale con la gente. Con loro potrò vivere la speranza della risurrezione, che la guerra cioè trovi una soluzione, che si ristabilisca un clima di giustizia, pace e riconciliazione. In tal modo la gente potrà credere nel futuro e far crescere il loro Paese.

Il Risorto è il punto di coagulo, l’unico, attorno al quale si costruirà il nuovo Burundi. Come posso mancare all’appello del mio Signore che laggiù soffre e che attende la sua risurrezione?

Buona Pasqua, anche a tutti voi!



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