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Novembre con gli alberi ormai spogli, le ombre dei lunghi tramonti e l’intimità della casa a cui volentieri si torna, ci parla delle realtà che finiscono, ma anche dell’Infinito nel quale siamo immersi come il grembo dell’universo.

Quest’anno più che mai il mese di novembre ci parla di persone scomparse, vittime della pandemia. Potrebbe essere motivo di scoraggiamento, richiamandoci alla realtà: siamo esseri limitati e finiti. Eppure, sentiamo di essere fatti per l’Infinito. Questa sensazione mi affascina come quando, nel buio delle notti africane, la volta del cielo infinito mi faceva sentire piccolo e insieme grande proprio nel limite della mia esistenza. L’esperienza del limite è di tutti i giorni. Ma quest’anno l’abbiamo sentita in modo acuto e doloroso nei giorni del Covid-19. Ora, a novembre, recandoci sulla tomba dei nostri cari, essa si fa più acuta. Eppure, proprio il limite che ci accompagna, ci dice che c’è, che deve esistere un Essere illimitato che lo trascende. Dice un filosofo tedesco che il mondo in cui viviamo è l’unica realtà che possiamo conoscere, ma che essa ci rimanda a un al di là e a un Altro, che non possiamo vedere, ma che è impossibile eliminare dall'orizzonte del cuore umano.

Noi cristiani questo al di là, questo Altro, lo chiamiamo Dio, l’Amore infinito da dove veniamo, pienezza della nostra esistenza, ricco di misericordia e di tenerezza, di cui spesso parla Francesco. Questo Dio chiama tutti alla comunione con sé, e per questo ha mandato suo Figlio a farsi uomo, limitato come noi. Nel suo volto, che guarda e parla, sorride e piange, ci chiama e ci attende. Ci fa vedere il volto invisibile e indescrivibile del Padre suo e nostro. Gesù, per farci comprendere almeno un po’ l’amore di suo Padre, ha scelto di morire sulla croce. Ma il Padre l’ha richiamato alla vita e l’ha costituito sorgente di Vita piena ed eterna per tutti.

Non meravigliamoci se, quando sentiamo parlare della morte, il nostro cuore si agita per la paura. Essa è un mistero, ma la fede in Gesù risorto ci dice che l’al di là non è un baratro vuoto e oscuro, ma una notte luminosa e piena di stelle, la dimora illuminata dall’Agnello di Dio, la casa del Padre dove già si trovano i nostri Cari. La casa di Dio non solo ci attira, ma dà significato, orientamento e pienezza a questa nostra vita di adesso, limitata e destinata a finire. Lì possiamo collocare i nostri pensieri, desideri, attività, sofferenze, speranze, iscrivendoli nell’Eternità di Dio. Nella città celeste “non ci sarà più né lutto né pianto”, assicura l’ultima rivelazione nell’Apocalisse. Vivremo invece nell’insaziabile sazietà (S. Agostino) della visione di Dio, in quella comunione con Lui che sarà sorgente inesauribile di felicità.

Questa fede ci rincuora. I nostri cari, che ci hanno preceduto, sono già con Gesù, che per primo è entrato nella Casa del Padre. Attendono di poterci rivedere per stare sempre insieme. “La fede - ha detto papa Benedetto - è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui". Quando verrà la nostra ora, basterà aprire gli occhi, come i bambini la mattina di Natale, e saremo pieni di santo stupore: lo vedremo come Egli è. Senza tale certezza, la vita non avrebbe senso e fare il bene sarebbe un’inutile fatica. Diffondere questa nostra gioiosa speranza è la missione cui tutti siamo chiamati: questo è il Vangelo, la lieta notizia di Gesù, il suo Vangelo.



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