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Sono nelle Marche da tre anni, dopo 30 di missione in Ciad e Camerun. Oggi ho 72 anni, ma la storia con Dio è cominciata molto tempo fa, nel mio paese d’origine, Ponte San Pietro, nella bassa bergamasca.

Ero un giovane pieno di energie e con un progetto di vita ben ponderato. In attesa di realizzare il mio sogno, frequentare l’università, ho svolto diversi lavori manuali. A 15 anni, sono andato a fare il bocia (piccolo) in una ditta di costruzioni, dove lavorava mio zio. Poi, ho fatto il meccanico in un’azienda che costruiva torni per il ferro. Ma il mio cuore desiderava continuare la scuola per arrivare all’università. Così, ho iniziato a frequentre le scuole serali. Ecco il diploma come geometra e l’iscrizione all’università. Ma, nel frattempo, dovevo lavorare per contribuire al sostegno della famiglia. Per questo, durante la crisi economica del 1961, cambio lavoro e divento commesso in un negozio di tessuti, nella centrale via XX settembre, a Bergamo.

Tutto questo non voleva dire abbandonare la fede. M’impegno in parrocchia come catechista e come animatore dei ragazzi dell’Azione cattolica, l’ACR. In quegli anni, comincio a sentire la gioia di servire i più piccoli e a pensare che c’erano anche le “missioni” nel mondo, dove vivevano persone che attendevano l’annuncio del Vangelo. Allora, con altri giovani e ragazze, creiamo un gruppo missionario con cui, ogni sabato, raccogliamo carta e stracci per finanziare le missioni. Erano tempi pieni di iniziative e di gioia.
Ma il Signore, un po’ alla volta, lavorava nel mio cuore, orientandomi verso una nuova strada.

Per qualche tempo, ho “resistito”, frequentando l’università e preparandomi a una vita migliore. Ma il Signore ha avuto la meglio. Sono andato dal mio parroco, don Andrea Paiocchi, parlandogli del mio desiderio di servire le missioni. Lui mi parla dei saveriani, perché una sua sorella era in quella Famiglia missionaria.
Da quel giorno, ho intrapreso una nuova vita. All’inizio, non è stato facile, perché avevo lasciato un futuro tanto desiderato e costruito. Ma, poi, il Signore mi ha fatto scoprire le ricchezze del vangelo, della vita comunitaria tra i saveriani e più tardi la missione.

La prima destianazione è stata l’allora Zaire, oggi Repubblica democratica del Congo. Ma, durante l’anno di studio del francese, avvenne un fatto doloroso per la nostra congragazione: l’espulsione di tutti i missionari dal Burundi. I superiori vennero a trovarci, chiedendoci la disponibilità di aprire una nuova missione in Ciad e in Camerun. Accettai e, dopo qualche mese, sono partito per il Ciad.
È stata un’avventura molto bella perché non conscevamo niente ed era tutta da scoprire. Siamo arrivati a Douala, in Camerun, il 17 ottobre 1982. Dopo un breve soggiorno in questa grande città portuale, siamo saliti al nord, per entrare in Ciad, paese frontaliero. Dopo qualche giorno, due missionari francesi sono venuti a prenderci per portarci nella loro missione di Gounou Gaya. Il viaggio era già missione, perché più avanzavamo verso Gounou Gaya e più il paesaggio cambiava completamente, diventando savana del Sahel, secca e con pochi alberi, strade in terra battuta e rari villaggi fatti di case di fango e paglia.

La prima impressione, arrivando alla missione, fu una stretta al cuore. Non si vedeva niente nel buio della notte. Nessuna luce illuminava la cittadina e le strade, ma si vedeva solo qualche lampada a petrolio nelle povere capanne. Un po’ alla volta, ci abituammo alla nuova realtà e facemmo conoscenza con la gente che viveva nelle vicinanze della missione. Alcuni cristiani venivano a trovarci per darci il benvenuto. Subito, capimmo che bisognava imparare la lingua della popolazione, il Musey. Non esistevano libri o vocabolari, ma una suora si rese disponibile per introdurci negli arcani di quella lingua. Fu un lavoro non facile, perché non c’erano strumenti per studiare. Ci si affidava alle poche traduzioni della Bibbia che esistevano.

Poi, abbiamo conosciuto qualche giovane studente del Liceo della cittadina, che ci aiutava a capire le parole di questa lingua. Ci vollero sei mesi per iniziare a “balbettare” qualche semplice frase con la gente. Abbiamo cominciato a visitare i villaggi e le comunità cristiane, a celebrare l’Eucarestia la domenica, non in chiesa, ma sotto un albero… Così, ha avuto iniziò la nostra missione in Ciad.
Furono anni di intenso lavoro pastorale, seguendo le comunità di villaggio, i gruppi di catecumeni e le celebrazioni della domenica. Era prima evangelizzazione. Non esisteva un messale in lingua, non c’erano chiese dove celebrare, esisteva solo una grande massa di gente che si avvicinava alla missione e chiedeva di essere battezzata. Fu un lavoro paziente di preparazione dei catechisti, di organizzazione delle comunità, della carità e di altre iniziative di sviluppo nei villaggi.

Curando la formazione dei catechisti, riuscimmo a creare un percorso catecumenale per chi chiedeva di diventare cristiano. Era molto interessante il metodo preparato dai missionari che ci avevano preceduto, basato sull’oralità. Proponevamo ai catecumeni un cammino di cinque anni per conoscere Gesù e il suo vangelo, la chiesa e i sacramenti. E tutto questo a partire dalla memorizzazione dei vangeli, degli Atti degli apostoli e qualche brano delle lettere apostoliche. Un po’ alla volta i frutti arrivarono e, dopo anni di “siccità”, ecco i primi battesimi a Pasqua di ogni anno. Le comunità si arricchivano di nuovi catechisti e di nuovi cristiani.



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