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La moto del diacono Bruno luccicava, da tanto l’aveva lavata. Sono le otto e partiamo per Ngama Sarah, uno dei settori scelti per celebrare la Pasqua quest’anno. Sono una decina di chilometri, quaranta minuti perché la pista è ricca di sorprese! Uscire dal centro è già un’avventura. È giorno di mercato, la confusione regna, ci vogliono mille occhi per non investire qualcuno.

La strada, si fa per dire, è una serie di buche; bisogna cercare attentamente dove passare. Mentre si va verso la campagna, la pista si snoda tra tratti sabbiosi (sembra di essere al mare…) e argillosi. Il povero diacono deve sbrogliarsela come può, soprattutto nella sabbia. Si sente che la moto soffre. Incontriamo file di persone che vanno al mercato, alcune cariche come asini, altre che ci vanno giusto per passare una giornata diversa, sperando di trovare qualcosa d’interessante. Penso fra me che non sanno neanche che esiste la Pasqua! L’ambiente è la savana, il colore dominante è quello della paglia secca. Rare piante spinose, cammelli, buoi e pecore fanno parte dello spettacolo ordinario.

Sbagliamo strada e arriviamo in un altro villaggio. Prendiamo la piccola pista che collega i due villaggi. È un percorso da Parigi-Dakar! Lungo il fiume Logone gli orti e i campi di cipolle sono alimentati dall’acqua del fiume, pompata e incanalata. Attraversiamo ponticelli improvvisati sui canaletti d’acqua e arriviamo finalmente a Ngama Sarah, sani e salvi. La gente ci attende, numerosa, arrivata dalle diverse comunità del settore. Giovani in maggioranza. Félix, il dinamico animatore, ci saluta sorridente. Il coro già canta all’interno della cappella strapiena. Gli uomini aspettano seduti ai piedi di un grosso albero. Passo a salutarli personalmente. Qui il Covid è sconosciuto: do la mano a ciascuno e poi… vado al recipiente disposto per l’igienizzazione.

In pochi minuti, tutto è pronto per la solenne celebrazione. Il diacono è proprio in ghingheri, si è portato l’abito delle grandi occasioni. Da diversi mesi viene spesso nel settore per il servizio domenicale e il suo periodo sta terminando. Félix ha organizzato bene. Ogni comunità di base, alla fine della celebrazione, passa cantando e ballando per presentargli dei doni (sapone, spaghetti, riso, circa 50 euro). Dopo un buon pranzo con polenta di riso e pollo in umido, siamo quasi pronti a ripartire. Ho avuto il tempo di incontrare il nuovo direttivo del settore per spiegare i compiti, di sentire i responsabili del catecumenato, di rispondere al gruppo di donne che chiede una mano per aumentare la capacità produttiva di orti e campi comunitari, di verificare le collette delle domeniche, di decidere alcune spese da fare in due comunità che hanno dei piccoli progetti… Non ci si annoia.

Intanto, i tamburi non hanno smesso di risuonare dopo l’Eucaristia. Un’orda di bambini e adolescenti ha occupato l’ampia ombra di un altro albero e i canti e le danze hanno continuato per un bel po’… I poveri sanno fare festa! Riprendiamo la pista del ritorno, questa volta senza sbagliare strada. La stanchezza comincia a farsi sentire, il caldo e la sete ci accompagnano. Verso le tre del pomeriggio arrivo a casa. I miei due confratelli non sono ancora di ritorno. Arriva p. Aimé, la new entry in comunità dopo l’ordinazione nel natio Congo RD. Padre Marco, dopo i battesimi a Kundul, è stato invitato a pranzo nel quartiere dalle famiglie dei bambini battezzati.

La sera ci ritroviamo per una birra insieme e per pregare e ringraziare per la Pasqua di quest’anno. Ogni anno ci arriviamo stanchi morti (caldo, attività…), ma felici.



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