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Casa Saveriana

Brescia



Presentazione

La comunità saveriana di Brescia è il centro culturale dei Missionari Saveriani in Italia. Pubblica il giornale "Missionari Saveriani" e la rivista "Missione Oggi" e offre tantissime altre iniziative missionarie e culturali.


Oltre a  queste pubblicazioni e produzioni, lo "C.S.A.M." anima missionariamente parrocchie, gruppi e zone pastorali. Inoltre, mette a disposizione di parrocchie e oratori i suoi ambienti per ritiri, incontri pastorali e culturali, conferenze, corsi formativi e manifestazioni aperte alla fratellanza dei popoli e alla mondialità.

1. Giornale: "Missionari Saveriani"

Dal dicembre del 1947, il mensile “Missionari saveriani” entra in più di centomila famiglie; è richiesto da parrocchie, oratori, organizzazioni, scuole, gruppi missionari, catechisti, insegnanti. L’aspetto grafico favorisce la scelta degli articoli e delle notizie, secondo le preferenze del lettore. Oltre alle sette pagine comuni, “Missionari Saveriani” ha, nell’ottava pagina, ben 19 edizioni locali, che riferiscono notizie, informazioni e testimonianze dei missionari del territorio.

Non occorre abbonarsi: basta farne richiesta e il mensile verrà inviato regolarmente. Si può contribuire ai costi di stampa e alle spese postali con una piccola quota. Ti aspettiamo nella nostra modesta, grande famiglia di lettrici e lettori, appassionati delle missioni e dei popoli del mondo. Buona lettura e... buona navigazione!

2. Rivista "Missione Oggi"

La rivista è un mensile fondato nel 1903 col nome di "Fede e Civiltà"; dal 1927 al 1947 assunse il nome di "Le Missioni Illustrate". Nel 1948 riprese le pubblicazioni come "Fede e Civiltà" fino al 1978, quando assunse il nome attuale. Per i primi 50 anni ha concentrato la sua attenzione soprattutto sulla Cina, prima missione dei saveriani. Dal 1948 fino al 1978 si è impegnata sul fronte della teologia missionaria, accompagnando lo sviluppo delle differenti scuole missiologiche e il dibattito conciliare e postconciliare sulla missione, con numeri monografici apprezzati anche a livello di Facoltà teologiche.

Da 30 anni la rivista dà voce alla "Missione Oggi" sulle tre linee portanti dell'attività dei Saveriani nel mondo: l'annuncio, il dialogo, la liberazione.

Due sono gli obiettivi prioritari della rivista: l'informazione sulla missione, a partire dall'esperienza dei saveriani, ma non solo; la formazione missionaria, affinché nell'elaborazione dei loro progetti pastorali le comunità cristiane in Italia tengano conto delle esperienze delle Chiese giovani e la società italiana assuma le sue responsabilità nei confronti del Sud del mondo. Per raggiungere questi obiettivi, la rivista privilegia articoli, interviste e servizi di approfondimento e di opinione soprattutto dai paesi del Sud, attraverso una collaborazione dinamica tra cristiani e non cristiani, credenti e non.

Nei suoi numeri periodici la rivista è tripartita: la prima parte è dedicata al mondo e ai suoi problemi; la parte centrale costituisce il DOSSIER, nel quale si mettono a fuoco alcune delle tematiche abitualmente presentate nella rivista; la terza parte è invece dedicata all'ascolto delle esperienze delle Chiese giovani del Sud del mondo dove operano i Saveriani, e non solo.

In tempo di crisi di identità dell'ad gentes e degli Istituti missionari tradizionali, la rivista vuole contribuire nella riflessione su "la missione oggi", ripartendo dalla Parola di Dio, dal Concilio, dal mondo... in maniera sistematica, non frammentaria, ma fontale, riscattando cioè i progetti e i paradigmi biblici, conciliari e mondiali della missione.

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P. Gianni Pedrotti, classe 1934 di Cortenedeolo, a fine estate è ripartito per il Congo RD, dopo un periodo di vacanza. L’abbiamo intervistato.

San Cristo è luogo dei ricordi?
Sì e sono ricordi bellissimi. Ho fatto qui il seminario minore (terza media e ginnasio). Eravamo più di 200, stipati come sardine, ma c’era un bel clima. Ricordo don Bonfadini, vice-rettore, don Gazzoli, che ha sempre voluto San Cristo come seminario e non voleva allargarsi, al contrario di mons. Montini (cugino di Paolo VI), che spingeva per il trasferimento al complesso di Sant’Angelo (meglio noto ora come Istituto Paolo VI).

Come è nata la vocazione?
La mia famiglia era molto religiosa. Io ero l’unico maschio con 5 sorelle e sono rimasto orfano di padre a 6 anni. Avevo uno zio paterno, parroco a Esine. Un giorno, mi ha portato lì, perché lui sarebbe andato a Brescia per un intervento chirurgico e mi ha promesso di riportarmi a Cortenedolo al rientro. Ma in Val Camonica è tornato cadavere. Quindi, sono cresciuto in una canonica, attaccato alla chiesa… Ho fatto tutte le elementari a Esine, che è diventato il mio paese. E in questo ambiente è nata la scelta vocazionale. Ho frequentato da privatista prima e seconda media, grazie al curato di Esine. Don Gazzoli, poi, passando di lì, mi ha detto di decidermi e di entrare in seminario.

Poi cos’è successo?
La mia fede è stata messa alla prova perché a 16 anni (ero in quinta ginnasio) è venuta a mancare anche mamma. Era il 1950. I superiori non mi avevano detto niente per non turbare gli esami che altrimenti non avrei fatto. Un altro zio prete mi ha portato all’ospedale, dove ho trovato la mamma con un tumore. Per me la fede era credere nel Signore, pregare e ottenere. Io dicevo a tutti di pregare e così la mamma sarebbe guarita, perché Dio sapeva che avevamo bisogno di lei. Nemmeno una settimana dopo, la mamma morì e allora tutti i miei castelli in aria caddero. È stato in teologia che ho maturato una vocazione più radicale, con un distacco più accentuato, una vocazione missionaria.

E un giorno i saveriani acquistarono S. Cristo…
Mi rese felice che la congregazione che avevo scelto avesse deciso di porre le sue basi a Brescia, in un posto a cui ero legato. E mi sentivo a casa, mi piaceva passare qui durante le vacanze, ricordando gli anni dell’adolescenza.

Perché i saveriani?
Eravamo in tanti in seminario a voler diventare missionari. A me interessava solo quello, meno la scelta della congregazione. Poi, un giorno, a Esine, era venuto p. Pierino Grappoli, originario di lì, e missionario in Indonesia. Lui mi ha entusiasmato per il modo profondo e spirituale con cui ha parlato di Dio e del vangelo. Mi ha proposto di salire in montagna per vedere come si viveva. Libertà, escursioni e tanto pallone mi hanno convinto!

Non tutto è stato tranquillo?
In noviziato ho visto che c’era il cosiddetto costumiere, una serie di regole. A me bastava il Cristo ed ero un po’ allergico alle regole. Sono stato dal maestro dei novizi, p. Ghezzi e gli ho confidato che mi ero sbagliato. Lui mi ha chiesto se credessi al vangelo e ai voti. Io ho risposto sì, ma le regole che mi proponevano mi sembravano esagerate. Mi ha raccontato che in Cina, dove lui era stato, era arrivato il costumiere da Parma. Ma, durante gli esercizi spirituali, l’aveva messo sotto il tavolo. Mi ha consigliato di fare la stessa cosa.

Crisi, dopo crisi…
Finito il noviziato sono entrato in Teologia a Piacenza. Al quarto anno, un’altra crisi. Ero convinto che, per parlare di Dio, si dovesse aver fatto esperienza di Lui, come diceva S. Giovanni. Allora, ho chiesto di partire per la missione. Così è sorto il conflitto tra il rettore (p. Spagnolo, fondatore delle saveriane) e il padre spirituale. Ho accettato di entrare nella lista per essere ordinato suddiacono. Ma, dentro di me, non vedevo chiaro, sentivo una lotta interiore fortissima, che mi ha bloccato. E non volevo continuare. I miei compagni hanno ricevuto il diaconato, io no.

Quindi cosa hanno deciso per te?
Mi hanno mandato a Udine a insegnare senza essere presbitero. Là ho ritrovato p. Ghezzi (mio maestro dei novizi). Ero animatore vocazionale, un incarico da prete! Dopo un anno, ho accettato di ricevere l’ordinazione. Era il 1959.

Poi, dove ti hanno inviato?
Insieme a p. Piatti volevano mandarci in Messico, ancora per insegnare, ma noi volevamo andare in missione. E la nuova DG, con mons. Gazza, ha destinato me in Burundi e p. Piatti in Giappone.

Sei stato in Burundi fino all’espulsione…
Sì, per 13 anni (dal 1969 al 1982) e ho fatto un po’ di tutto. Era proprio missione sul campo. Abbiamo vissuto anche la guerra. Nel 1972 siamo stati catturati in tre, dopo essere andati in un villaggio a vedere cosa stava accadendo. Loro, però, avevano ricevuto l’ordine di non toccare un bianco, per motivi magici (erano l’etnia dei Mai-Mai che significa acqua).

C’è un ricordo particolare?
Stare con la gente era ciò che sognavo. Il ricordo più bello che ho sono proprio le persone in coda per salutarmi prima di partire. Il governatore, che era stato lì per giustificare la mia espulsione, non aveva trovato niente. Il mattino della partenza meditavo il vangelo in kirundi e si è avvicinata una donna tutsi. Mi ha dato una carezza e mi ha chiesto perdono a nome della sua tribù… Il Burundi mi è rimasto nel cuore. Lavoravo anche con mia sorella, che era suora (Miriam). Io ero il parroco e lei era responsabile delle attività della sua congregazione. Quindi per me era un modo di stare in famiglia.

Il Congo è stato un secondo periodo della tua vita…
Esatto. I primi anni ero a Kasongo, in piena foresta. La gente mi raccontava degli spiriti e delle magie. Io cercavo di convincerli del contrario. Loro mi rispondevano che non capivo perché ero bianco. Nominato vice regionale mi sono trasferito a Bukavu e ho incontrato p. Nardo, saveriano esorcista. Lui capì che non ero molto entusiasta di questa attività. Ma una volta a Luvungi, dove sono rimasto 13 anni, mi sono interessato del problema della magia. Ho visto cose che non mi sarei aspettato e ho scoperto che c’era davvero qualcosa.

Ora sei a Panzi…
Sono padre spirituale dei ragazzi della propedeutica e mi occupo dei giovani universitari cattolici. Ma il lunedì e il venerdì incontro la gente e non voglio altri impegni. Ascolto, li accolgo e poi prego. Mi parlano dei loro problemi e cercano una spiegazione per tutto. A un certo punto io metto il crocifisso nelle loro mani e qualche volta accade che la persona si contorca e scagli il crocifisso a terra. Io continuo a pregare finché si calma. Poi do appuntamento a un’altra occasione per vedere se si deve liberare del tutto e aiutarla….

E il Congo come va?
Dal punto di vista socio-politico ed economico, la situazione è peggiorata.

L’occidente sembra cieco e sordo
È il nostro dramma. Non tocchi la profondità del vangelo se diamo solo un aiuto economico e poi ci giriamo dall’altra parte...

Saranno le vocazioni africane il futuro?
Prima bisogna dimostrare che si è servitori, sporcandosi le mani. Perché essere presbiteri, in Africa, è ancora motivo di prestigio. Come nei paesi degli anni ’50 da noi, dove le autorità erano il brigadiere, il prete, il medico e il farmacista.

Papa Francesco?
Quando ho sentito che si sarebbe chiamato Francesco, ho capito che veniva proprio dallo Spirito Santo.

Se non avessi fatto il missionario...
Forse, avrei fatto il calciatore. Ho amato tanto giocare a pallone… Se posso, mi auguro che i saveriani restino a San Cristo.



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