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Un autoritratto di fra' Benedetto?

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L' uso del ritratto risale a tempi molto antichi, ne danno testimonianza le figure di impressionante realismo della pittura egizia e romana. Più vicino a noi già a partire dal medioevo si usa raffigurare negli ex-voto il volto  del munifico committente, altre volte una grande personalità. Celebre è il profilo di Dante lasciatoci da Giotto nella Basilica di San Francesco in Assisi. Ancora nel Giudizio Universale della Sistina Michelangelo ha lasciato il suo autoritratto nel volto della pelle di San Bartolomeo. L 'affreschista di S. Cristo, impegnato nel ciclo pittorico della chiesa, pare volersi adeguare a questo uso e firmare la sua vasta opera inserendo tra le scene il suo autoritratto.

In un contesto figurativo di tale grandiosità il punto ottimale della visuale è certamente la zona mediana della navata di fronte al mausoleo Martinengo sotto l' arco del martirio di santa Lucia. Da qui in effetti si ha il completo controllo dell' aula. Ne sono conferma le disposizioni del legato testamentario di Bernardino Martinengo per la localizzazione del monumento della casata sulla parete dirimpettaia. Altrettanto avviene nel secolo successivo con i Zoccolanti per il pulpito seicentesco, opera oggi non più presente insieme alla precedente.

Levando lo sguardo alla base dell' arco di S. Lucia sopra il prospettico cornicione è possibile notare un gruppo di persone guidate da un uomo a mezzobusto, la testa voltata verso di noi. Tiene il braccio destro levato nel gesto dell'invito a partecipare alla contemplazione del martirio della santa e procede con fare esplicito come per esortare anche noi ad seguirlo nella contemplazione della sua opera. Spiega ai presenti del seguito, lo si vede dalle labbra semiaperte, ma lo sguardo accompagnato dal dito indice alzato mostra chiaramente che vuole coinvolgere anche noi.

Si presenta come un uomo sulla quarantina, stempiato, il volto asciutto nella barba scura, il mantello gettato sulla spalla. E' l'unico personaggio del ciclo pittorico della chiesa  a rivolgersi fuori scena con fare eloquente. Per cui secondo l'interpretazione tradizionale sembrerebbe legittimo vedere in lui l' autore degli affreschi, il gesuata fra' Benedetto da Marone. Se così non fosse, non si saprebbe come giustificare la presenza singolare di questo misterioso personaggio in tale contesto. Purtroppo non possediamo altre testimonianze della pittura del Marone, eppure così vasta, rappresentando in ogni caso questa di Brescia il disegno più grandioso per concezione ed esecuzione e per giunta anche l'unico.

Sappiamo dei suoi lavori nei vari conventi dell' Ordine, come Milano nel 1556, Bologna nel 1560, l' anno seguente a Verona a S. Bartolomeo in Monte, a Ferrara nel 1571 (per dodici episodi della vita del b. Tavelli vescovo della città) a Siena nel 1575 per la chiesa di S. Girolamo. Il destino sarebbe stato crudele con fra' Benedetto se fosse andata persa anche questa testimonianza della sua arte. Tra l'altro della ventina di conventi fondati in Italia dai Gesuati l' unico a rivivere integralmente è questo di Brescia che ci dona tra l'altro l' unica testimonianza dell' arte di questo suo figlio un po' dimenticato nella storia tanto da essere citato come lo zio gesuata del più noto Pietro da Marone, ma qualche volta per errore ripetuto nel corso dei secoli come "il nipote di Pietro".

Le uniche frammentarie testimonianze delle sua decorazione fuori Brescia sono rimaste nella chiesa di S. Bartolomeo sul Monte di Verona e nel chiostro del convento bolognese in via S. Mamolo.

Non conosciamo con esattezza l' anno di nascita, mentre è noto il luogo e la composita famiglia dotata di talento artistico (vedere l' albero di famiglia nel cap. Fra' Benedetto della famiglia dei Da Marone). Era figlio di "Pietro de Marono de Manerbio" pittore e intagliatore-marangone attivo alla fine del Quattrocento, nativo di Marone a 700 s.l.m. sul lago di Iseo, ma trasferito a Venezia col padre, pittore pure lui.

Aveva come zio frate Raffaele considerato "l' intarsiatore bresciano più famoso" secondo il Panazza. Converso Olivetano a Rodengo nel 1501 professò l' anno dopo a Monte Oliveto Maggiore, dove conobbe fra' Giovanni da Verona, celebre intarsiatore che lo volle collaboratore nelle tarsie del convento Maggiore e in quello di Napoli. Nel 1520 firmava il leggio di Monte Oliveto Maggiore e tra il 1531-1533 era a Brescia lavorando attorno al leggio ora in Pinacoteca accentuando il gusto pittorico, mentre nelle nature morte si ispirò al Romanino con un cromatismo così "felicemente risolto da raggiungere il limite estremo dopo il quale la tarsia diviene pittura". Dopo un lavoro a S. Michele in Bosco di Bologna si trasferì a Roma dove morì a 60 anni nel 1539. Fu sepolto in S. Maria in Camposanto presso S. Pietro con la seguente iscrizione:Raphaeli Roberto Brixiensi - ord. Montis Olivetiqui opere vermiculato et ligneis se - gmentis proxime ad nobiliss. - Pictores accedebat bap. De - colle et meculus macule - amico chariss. moerentes pos - an.chr.sal MDXXXIX e VI - ta exessit aet. suae LX.

Un secondo zio Andrea ( 1475-24 Marzo 1528) fu amico del Poliziano e di Marsilio Ficino. Giovanissimo si dette all' insegnamento e crebbe presto in fama di letterato grazie agli epigrammi latini premessi al Polifilo, accolto come opera nuova che Aldo Manuzio stampò in Venezia. Il 23 maggio 1509 dopo aver sconfitto i veneti ad Agnadello Luigi XII entrava in Brescia da Porta S. Giovanni e salendo a cavallo lo scalone di Palazzo Broletto vi si insediava per cinque giorni: qui riceverà omaggi da autorità civili e religiose tra cui i versi adulatori di Andrea Marone.

Al seguito del card. Ippolito d' Este nel 1510 fu a Ferrara alla corte di Alfonso I dove conobbe tra gli altri l' Ariosto, quindi dopo un soggiorno in Ungheria con il cardinale passò alla corte di papa Leone X. Pare che il pontefice dopo averlo sentito declamare suonando la cetra durante la presentazione delle lettere di raccomandazione del Bagnadore gradì talmente l' omaggio che gli fece dono di pingue prebenda. Durante un banchetto con cardinali e ambasciatori delle potenze cattoliche lo invitò a recitare un poema per invitare i regnanti a lasciare le discordie e unirsi nella lotta contro il sultano Selim, che minacciava l' Europa dopo aver fatto conquiste dalla Georgia all' Egitto. Andrea iniziò il Poema con i versi Infelix Europa, diu squassata tumultu Bellorom ecc. secondo la versione tramandata da Paolo Giovio, fino alla conclusione del tema posto dal papa che ne rimase talmente ammirato da chiamarlo poeta della Roma Imperiale, paragonandolo al mantovano Publio Virgilio Marone! Omonimia casuale, perchè Marone è località sul lago d' Iseo poco distante da Mantova. Continuerà la sua attività poetica anche con Clemente VII godendo un beneficio nella diocesi di Capua.

Durante il sacco di Roma fu preso e ripreso dalla soldataglia rischiando la vita, poi passato il pericolo cercò inutilmente di recuperare i suoi scritti per rifarsi del denaro perso e morì in una osteria del Campo Marzio di itterizia o di mal francese. Il sacco del 1527 dunque ci ha privato delle sue opere. Ci restano solo satire, epigrammi e cantici e un probabile ritratto nel Suonatore di Viola di Raffaello del 1513 definito come di bresciano, poeta et sonatore di viola assai caro a Leone X. Ci lascia anche tre sonetti in vernacolo tutti diretti contro gli Sforza accusati di intesa con i Turchi nell' invasione del Friuli: qui il bresciano verseggiatore latinista si mostra rustico e feroce, senza mezzi termini, autentico figlio della sua terra.

Il 2 novembre 1519 il fratello minore ANDREA detto da Manerbio era stato messo a garzonaggio dal babbo Pietro de Marono de Manerbio presso la bottega dei pittori MATTEO E STEFANO ZAMBELLI in contrada San Cassiano oggi via G. Rosa, zona San Benedetto, la chiesetta dei monaci di Leno in piazzetta Legnano. Una bottega molto fiorente era quella degli Zambelli, purtroppo allo stato attuale non si conoscono loro opere che forse potrebbero uscire dai restauri in S. Pietro in Oliveto. Nel registro delle Custodie Notturne accanto al nome di Matteo è indicato come "maestro del Romanino". Del 1498 è una ancona della Madonna per S. Giovanni Evangelista opera di Giorgio, il padre dei suddetti che nel 1534 risultano ancora viventi all' età di novanta anni!

L' unica opera datata e firmata di Andrea da Manerbio resta un ciclo di affreschi in S. Maria in Valvendra di Lovere. Gli sono pure attribuiti i due dipinti murali strappati raffiguranti l' Entrata di Gesù in Gerusalemme e la Resurrezione di Gesù ora in S. Maria delle Consolazioni, databili 1540 e facenti parte della distrutta chiesa dei SS. Ippolito e Cassiano. Andrea tiene bottega a Brescia in Cittadella Vecchia, è iscritto nel registro delle Custodie Notturne, viene citato insieme al fratello Paolo come Andrea de Manerbio pictor et Paulus fratres nel 1541-1546 e ancora Andreas e Paulus frates de Manerbio pictores nel 1549-1550. Quindi  con ogni certezza anche Paolo era parte della bottega dove si esercitava  nelle prime nozioni tecniche dell' affresco.

Dal 1550 Paolo da Marone non appare più nelle custodie notturne: aveva certamente cambiato nome, come era costume presso gli Ordini Religiosi. Era infatti entrato nel convento di S. Girolamo a porta Vercellina in Milano.

Il 30 giugno 1556 lascia Milano per S. Bartolomeo in Monte di Verona, quindi è presente in Brescia al testamento di D. Agostino Emili con il nome di frate Benedetto da Brescia.

Fino al 1560 resta resta nel convento di Bologna a porta San Mamolo dove lascia gli affreschi del beato Colombini

Del 1562 è il testamento di Andrea da Manerbio al quale sono presenti Batta figlio di Andrea de Marono pictore e Petro figlio suprascripti m.ri Andrea de Marono. Fra' Benedetto viene citato come teste di questa disposizione testamentaria del fratello Andrea a favore dei figli Batta e Pietro da Marone (il nipote più famoso per intenderci).

Il 16 aprile 1563 nella aromataria del monastero dei frati Gesuati di Brescia viene chiamato come frate Benedicto de Maronis de Brixia e poi nell' anno successivo il 7 febbraio come Benedicto da Brescia pictore. Da questo momento comincia la sua attività nella chiesa di S. Cristo. Altre notizie sono nel cap. Fra' Benedetto da Marone.

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