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Donne-madri che cantano quando lavorano; che chiacchierano quando ritornano con il contenitore per l’acqua in testa; che sorridono anche se sono stanche alla sera; che sorridono ai figli e che dolcemente rimproverano il marito, quando non porta i soldi a casa.

Donne che piangono di fronte alla morte, ma non si scoraggiano.

Donne che sognano un mondo migliore e che sospirano e pregano Dio, quando la povertà bussa alla loro porta. Donne che danzano per dire la loro gioia di stare insieme e di ringraziare Dio nel giorno del Signore…e mi fermo qui, perché la lista si allungherebbe all’infinito. Donne e madri.

Quando arrivi in un villaggio, come in tutto il mondo, la venuta di uno straniero (in più se è un mzungu, un bianco) suscita curiosità. Prima arrivano i bambini di corsa per vederti, toccarti e…aspettare qualche caramella. Poi arrivano loro, le mamme, con calma (ma già hanno fatto i primi commenti tra di loro). Ti fanno un bel sorriso, ti danno il benvenuto.

Qualcuno dietro le loro spalle si muove. Anche lui vuole vedere chi è quel tale che ha una pelle diversa. I suoi due occhioni ti scrutano con interesse. Tu ti avvicini e subito si nasconde dietro le spalle. Ti giri un attimo e lui ritorna fuori. Il gioco dura un po’.

Poi vedendo che non ha niente da temere, finalmente ti fa un bel sorriso e anche tu glielo restituisci con gli interessi.

Ti accompagnano alla capanna e ti preparano qualcosa da mangiare. Cominciano le domande e tu devi rispondere, perché è per questo che le hanno fatte. Ma chissà perché ti viene spontaneo pensare che sono cose che hai già sentito anni prima da qualcun’altra, cioè da tua mamma. Le mamme sono tutte uguali nel mondo e i loro problemi sono i medesimi. Allora, ricordando tua mamma, ti senti vicino a loro e cerchi di dare loro importanza come la daresti a tua mamma che è lontana seimila chilometri, ma è presente negli occhi e nel cuore di queste donne africane. Senti i loro discorsi, le loro preoccupazioni, i loro sogni e vorresti fare tante cose per loro.

Ascoltarle è quello che chiedono di più, dare loro il tempo è ancora meglio.

Lavorano tutto il giorno. Lo sappiamo che l’economia dell’Africa passa sulle spalle delle donne, delle mamme in particolare. Quando le vedevo partire presto al mattino (alle cinque) per andare a lavorare nei campi a dieci, quindici chilometri di distanza dalla loro casa, mi facevo tante domande. Chi dà loro la forza di fare tutto questo? Certo c’è un segreto che io chiamo amore, non c’è un’altra risposta.

Sono loro che tengono in piedi la famiglia. Anche il papà dà il suo contributo, ma senza di loro tutto crolla.

Sono le prime ad alzarsi al mattino e le ultime ad andare a coricarsi la sera. I figli sono nel loro cuore, il perché della loro vita. Come dice un proverbio congolese “la mano non ignora la bocca”. Madre e figlio si riconoscono sempre in mezzo alla folla. A volte mi hanno chiesto come facevo a riconoscere i genitori dei bambini, visto che sono tutti neri. All’inizio era difficile, ma bastava un po’ di pazienza e di attenzione e tutto diventava facile. In Africa si dice “pole pole ndiyo mwendo” (piano piano è il modo di camminare) e “haraka haraka haina baraka” (la fretta non porta mai benedizione).

Un piccolo ricordo di qualcosa che ho vissuto in Camerun. C’erano due genitori con figli: uno si chiamava Jean (Giovanni) e lei Jeanne (Giovanna). Si volevano molto bene e lo volevano anche ai figli. Un brutto giorno Jeanne si ammalò e non poteva più fare niente. Jean cominciò a fare tutto in casa e l’accompagnò negli ultimi giorni della sua vita.

L’amore va al di là dei pregiudizi.



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