Al focherello dei miei limiti esistenziali il calore della fede. Natale!
Il Natale è scomparso, perché è scomparso l'Avvento dell'attesa. I giorni scorrono uguali, indistinti, fra compere e regali e panettoni e traffico impazzito. Giungono notizie di popoli al gelo e al buio. Un bisbiglio sotto voce: "Poveretti!", ma poi si deve correre e correre. Mentre scrivo – domenica 18 dicembre ore 09:00 – dalla finestra ammiro uno stuolo di piccioni che, beccando quanto nella notte alcuni esseri umani hanno vomitato, ripuliscono il marciapiede. GRAZIE!
Demolite le sicurezze del passato quando l'uomo amava dichiararsi la misura delle cose perché vedeva tutte le cose girargli attorno, anche il sole, anche le stelle, nella nuova era della scienza l'uomo proclama la radicale relatività di tutto quanto esiste, delle cose che lo circondano e anche di se stesso. "Se il mondo è un pullulare di effimeri quanti di spazio e di materia, un immenso gioco a incastri di spazio e particelle elementari, noi cosa siamo? Siamo fatti anche noi solo di quanti e di particelle? Ma allora da dove viene quella sensazione di esistere singolarmente e in prima persona che prova ciascuno di noi? Allora cosa sono i nostri valori, i nostri sogni, le nostre emozioni, il nostro stesso sapere? Cosa siamo noi, in questo mondo sterminato e rutilante?... Siamo fatti degli stessi atomi e degli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie. Man mano che la nostra conoscenza è cresciuta, abbiamo imparato sempre di più questo nostro essere parte, e piccola parte, dell’universo" (Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, p. 84).
Il fisco – saggista italiano, Carlo Crivelli, nel descrivere l'affascinante visione della relatività generale si interroga da dove viene all'uomo la sensazione di esistere singolarmente in prima persona. La risposta è lineare con la visione scientifica: anche la libertà, esperienza gioiello di ogni uomo, è combinazione di atomi, una fuggente scena sul palcoscenico della relatività generale.
L'uomo antico ha assolutizzato la trascendenza, l'uomo moderno assolutizza l'immanenza. Tra le due sponde assolutizzate l'alveo del limite, in cui scorre il tempo tra i ciottoli dei tanti nostri "io". Il ciottolo del mio "io" è un frammento che s'è infranto dalla roccia e contemporaneamente è una pietra che resiste all'erosione della corrente. Infrazione e resistenza: s'accende il focherello.
I limiti esistenziali sono miei, mi compongono.
Non ho che questo mio occhio limitato per vedere, questo mio udito limitato per udire, questa mia limitata sensibilità per sentire, questo mio limitato intelletto per comprendere. Eppure, a un atto della mia volontà questi fustelli dei miei limiti s'accendono: c'è luce, c'è calore. Da dove l'energia della volontà? E' da dentro di me, eppure non è circoscritta dai miei limiti. Anzi, li accende in luce e in calore, più intima a me che non me a me stesso. Non è una deduzione né chimica, né psichica, né filosofica, né religiosa. E' così. Non sono io ad alimentarla da fuori, eppure, anche qualora volessi spegnerla, non si spegne. Ecco, annunciano che i bambini muoiono di fame, di freddo, di non amore. Tutte le teorie, quelle generali e universalistiche, s'arrendono. E' lo spegnimento, è il nirvana! Eppure il focherello dei fustelli dei miei limiti non si spegne. Nel limite, dal limite non corazzato da teorie, sgorga una potenza inarrestabile: la potenza della fede. E' luce, è calore. Ma se i fustlli dei propri limiti sono scalzati dalle certezze generali e assolute, viene meno l'humus in cui si radica la volontà che crede senza vedere, generando dal suo interno quanto crede.
Sì, perché sarebbe come la decorazione passiva che si ripete nelle nostre città in questo Natale senza l'Avvento dell'attesa.