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Qualche mese fa Paulines Africa hanno pubblicato “The Voice of Voiceless: The Role of the Church in the Sudanese Civil War 1983-2005”, di John Ashworth. Col permesso dell’autore ho tradotto parte dell’introduzione. Ve la propongo. Buone cose. Giorgio Biguzzi (Giuba 21 ottobre 2014).

  • Volentieri la pubblichiamo nelle “Lettere dal Mondo” – Sud Sudan.
Le Chiese (cattolica, anglicana, presbiteriana e altre) hanno giocato un ruolo determinante in Sudan, ben oltre la loro vocazione “religiosa”.

E sono state le uniche istituzioni a mantenere una propria infrastruttura e presenza in mezzo alla gente durante la guerra in Sud Sudan, in Abyei, sulle Montagne Nuba e nel sud del Nilo Azzurro. Teologicamente la Chiesa è il popolo di Dio, e dovunque c’era gente là c’era la Chiesa. In modo particolare durante i primi anni della guerra, non c’era governo, non c’era società civile, non c’erano media, non c’erano Ong e Nazioni Unite; perfino il ruolo dei capi tradizionali era stato profondamente indebolito dai giovani armati di fucili. Tuttavia il personale della Chiesa, i programmi e le strutture sono riusciti a permanere. La Chiesa ha sostituito in vari modi il ruolo del governo, provvedendo servizi umanitari e sociali di base, quali salute, istruzione, interventi di emergenza e perfino protezione; non con le armi, ma con la propria presenza ha moderato le azioni delle fazioni in guerra. La Chiesa si è impegnata nella risoluzione dei conflitti e nel processo di pace tra le comunità locali e ha provveduto all’educazione civile. La gente guardava alla Chiesa per avere direzione e leadership: non solo i cristiani, ma anche i musulmani e i seguaci delle religioni tradizionali. Nello stesso tempo, e fino a un certo punto, la Chiesa ha giocato gli stessi ruoli nel Nord, dove il governo esisteva, ma era apertamente ostile alla gente del Sud e delle zone marginalizzate. In mancanza dello Stato, la Chiesa si è assunta il ruolo di RdP: Responsabilità di Protezione.

L’ecumenismo è stato uno degli aspetti maggiori della vita ecclesiale in Sudan.

Durante la guerra le Chiese hanno lavorato insieme, in stretta unione. Le denominazioni più numerose sono la Chiesa cattolica, anglicana (episcopaliana) e la presbiteriana, fondatrici del Consiglio delle Chiese del Sudan (SCC). Ci sono anche altre Chiese indipendenti ed evangeliche. Nel Nord sono sempre esistite anche piccole comunità orientali, come i Copti, i Maroniti e gli Ortodossi. I cristiani del Sudan sono fedeli e a loro agio nelle proprie Chiese, ma allo stesso tempo sono molto aperti alle altre. Se si vengono a trovare in un luogo dove non c’è la loro Chiesa, vanno volentieri al culto in un’altra, ricevono la comunione e fanno riferimento a questa come alla “mia Chiesa”. Una volta a casa ritornano senza rotture alla propria Chiesa.

La Chiesa, soprattutto nella sua forma ecumenica, ha fatto un eccellente lavoro di “advocacy”. 

Può vantare, fra le altre cose, di aver influito sul Comprehensive  Peace  Agreement(Accordo comprensivo di pace) del 2005 e conserva ancora una grande influenza, dopo anni dalla fine della guerra. “La Chiesa per quasi vent’anni è stata l’unica istituzione che ha fatto conoscere la storia della sofferenza del Sud Sudan al mondo” (Dr. Agnes Abuom).

La Chiesa è stata molto coinvolta nel processo di pace in Sudan. 

A questo riguardo, l’iniziativa People to People Peace Process (Processo di Pace da persona a persona), che negli anni Novanta ha iniziato a mettere d’accordo etnie sud-sudanesi in guerra tra loro e fazioni politico-militari, è stata un’iniziativa di grande successo e innovativa su larga scala. Inoltre le Chiese spesso sono state coinvolte nella soluzione di conflitti locali e in negoziati dietro le quinte. In più, la Chiesa ha contribuito a creare un clima di pace attraverso il suo insegnamento ed esempio.

Per questi motivi la Chiesa ha guadagnato enorme credibilità e autorità morale.

 Ha avuto un ruolo determinante nelle vita della nazione e ci si aspetta che questo ruolo pubblico continuerà in tutte e due le nuove repubbliche: Sudan e Sud Sudan.

In gran parte del mondo occidentale la Chiesa è vista come un ente reazionario, irrilevante,

fuori del tempo, non in contatto con la realtà, fondamentalista, scandalosamente ricco, ossessionato dalla moralità sessuale, macchiato da scandali. La rigida separazione della religione dallo Stato, rende difficile la comprensione della Chiesa da parte di molti laici e genera concezioni sbagliate. Spesso la Chiesa è vista come un problema. “La teoria prevalente di molti intellettuali in Occidente è che la religione è un’irrazionale e distruttiva aberrazione che sta scomparendo” (Philpott et a. 2012, p. 137). Il giornalista statunitense Nicholas Kristof, che non è certamente un apologeta della religione, quando visitò il Sud Sudan, scoprì una Chiesa diversa. “Sono venuto qui nel povero Sud Sudan per scrivere dei problemi sud-sudanesi, e non della… Chiesa. Eppure ancora una volta, sono impressionato dal fatto che molte delle persone generose che servono i più bisognosi della terra sono umili suore e preti”. (Qui possiamo anche aggiungere: pastori, catechisti, evangelizzatori, vescovi, moderatori di comunità, anziani, diaconi e laici di tutte le denominazioni). In Sudan, come in molte nazioni africane e in altre parti del mondo dove abbondano povertà, conflitti, oppressione politica e sottosviluppo, la Chiesa è largamente vista come una forza per il bene, all’avanguardia nella lotta per la pace, la giustizia, i diritti umani e la democrazia. Gli africani sono naturalmente religiosi (cristiani, musulmani o seguaci delle religioni tradizionali) e culturalmente comunitari; la religione pervade la vita degli individui e della nazione. La gente fa riferimento alla propria fede e ai loro leader religiosi per affrontare in modo completo i problemi, piccoli o grandi, della vita di ogni giorno, senza barriere artificiali. A questo riguardo, l’umile Sudan ha molto da offrire al mondo individualista dell’Occidente.

La Chiesa si è impegnata in alcune iniziative ed eventi ad alto livello, tuttavia molto di quello che è stato fatto non è mai stato raccolto o scritto.

Il Sud Sudan è contrassegnato dalla cultura orale. Le storie vengono ancora raccontate, ma c’è il pericolo che si perdano quando i protagonisti invecchiano e i ricordi della guerra civile sbiadiscono...  Questo “racconto” in gran parte riguarda anche il processo di pace, dove la Chiesa ha giocato un ruolo fondamentale. “Beati i costruttori di pace, saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Le Chiese non hanno deciso a tavolino di entrare in questo campo. Lo hanno fatto perché è parte della loro missione, come espressione dei valori evangelici. Nella Chiesa, molti che ora vengono osannati come “costruttori di pace”, probabilmente non si considerano tali. Erano semplicemente vescovi, moderatori di comunità, pastori, sacerdoti, suore, laici che hanno considerato l’impegno per la pace come uno dei tanti impegni che stavano portando avanti. Era semplicemente parte del loro ministero. Non conoscevano gli scritti su questo tema. Hanno imparato mentre lavoravano e hanno costruito il loro programma col tempo, sempre in dialogo con la gente sul posto. Questo è vero anche per quanto riguarda le attività della Chiesa per l’aiuto e lo sviluppo.

La Chiesa ha giocato un ruolo di estrema importanza in tutti questi campi, ma non è mai diventata semplicemente una “Ong compassionevole”,

per usare un’espressione di papa Francesco. “Se non confessiamo Cristo, che cosa siamo”? La Chiesa sudanese ha confessato Cristo in tempo di pace come in tempo di guerra. Questo è ciò che ci ha sostenuto durante i tempi duri. Questo era il “valore aggiunto” che la Chiesa portava al tavolo della pace e dello sviluppo, che spesso era dominato da Ong laiche ben finanziate, da potenti governi stranieri, da ricchi donatori, dalle Nazioni Unite, dalle fazioni in guerra, dai partiti politici e da vari altri interessi; spesso questo “valore aggiunto” è stato decisivo quando si trattava di portare verso un cambiamento, alla trasformazione, alla metanoia.

Il ministero profetico è stato al centro della vita della Chiesa durante i lunghi anni di guerra.

“Il compito del ministero profetico è di far crescere, nutrire e svegliare una coscienza e una percezione alternative alla coscienza e alla percezione della cultura dominante attorno a noi” (Brueggemann, 1978, p.13). I profeti leggono i segni di tempi e immaginano un futuro alternativo pieno di speranza… La Chiesa ha parlato con forza contro l’ingiustizia e l’oppressione, la cultura dominante e il vecchio razionalismo, e ha portato la comunità ad una nuova e radicale visione della giustizia, della pace e dell’uguaglianza. “Noi sogniamo due nazioni democratiche e libere, dove ogni religione, ogni gruppo etnico, ogni cultura e lingua goda di uguali diritti umani, basati sulla cittadinanza. Noi sogniamo due nazioni in pace tra di loro, che cooperano per il miglior uso delle risorse che Dio ha loro donato, che promuovono il libero scambio tra i loro cittadini, che vivono accanto gli uni gli altri in solidarietà e rispetto reciproco, che celebrano la loro storia condivisa e perdonano i mali che si sono fatti vicendevolmente. Noi sogniamo un popolo non più traumatizzato; sogniamo bambini che possono andare a scuola, madri che possano accedere ai dispensari; sogniamo la fine della povertà e della malnutrizione; sogniamo cristiani e musulmani che, liberamente e senza paura, possono andare in chiesa o alla moschea” (Messaggio della Chiesa episcopaliana e dei vescovi cattolici del Sud Sudan, 11 maggio, 2012).

La Chiesa ha reso testimonianza con le sue azioni, non solo con le sue parole. Si può molto imparare dall’esperienza della Chiesa nel Sud Sudan.

Traduzione di GIORGIO BIGUZZI.
  • Vescovo emerito di Makeni (Sierra Leone), in visita in Sud Sudan.
  • Giuba, 21 ottobre 2014.


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