Skip to main content

Qohelet, Missione come Amore che ci supera

Condividi su

Oggi si sente spesso ripetere che “non c’è tempo...”, che siamo schiavi della tirannia del tempo, ma Qohelet, a quanto pare, non è di questo parere e dedica questo piccolo componimento a celebrare le varie situazioni che ritmano la vicenda di ogni persona. L’insistenza sul fatto che a ogni attività umana corrisponde un tempo specifico ha indotto a pensare che qui si intenda esporre una concezione deterministica. È tuttavia più conforme all’indole del Qohelet riconoscere in questo passo una riflessione condotta a partire dall’esperienza.

C’È UN TEMPO PER...

"Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato. Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via. Un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che guadagno ha chi si dà da fare con fatica?" (Qo 3,1-9)

Il poemetto sui tempi (3,2-8) si apre con la coppia generare /morire; la tradizione ebraica ha interpretato spesso tutte le coppie seguenti nella medesima prospettiva (vita/morte, lutto/festa, guerra/pace). Non è chiaro se qui Qohelet presenti una propria composizione o stia citando un testo a lui preesistente; in ogni caso a questa composizione egli fa seguire il suo commento, che alla luce del v. 9 (Che guadagno ha chi si dà da fare con fatica?) sembra negare proprio quanto il poema affermerebbe: questo infatti parrebbe esortare a fare le cose a tempo opportuno, mentre il seguito nega agli umani proprio tale abilità.

L’idea che l’essere umano sia in grado di conoscere il momento opportuno, avrebbe certamente suscitato l’approvazione di vari saggi antichi, anche di quelli ebrei che avevano preceduto il nostro saggio nella riflessione. Egli, tuttavia, ci offre qui solo una considerazione generale, mentre esprime il suo pensiero nel commento che segue immediatamente (vv. 10-11: “Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino. Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine”). Se pure c’è un momento opportuno per ogni cosa (v. 1), il problema del nostro autore consiste proprio nel fatto che l’essere umano non è in grado di sapere quando tale tempo sia giunto o con quali criteri sia scelto da Dio. Non si può escludere una punta di ironia in questo elenco che allude al pensiero sapienziale, nel senso che quelli che per i saggi erano occasioni per Qohelet sono invece segni dell’impotenza e del limite conoscitivo umani.

MA L’UOMO NON PUÒ SCOPRIRE TUTTA L’OPERA DI DIO

Tempo per... l’elenco include numerose azioni, sottolineando che il tempo è riempito dal nostro fare; ma la nostra attività frenetica ha la possibilità di dare senso al tempo?

“Che profitto c’è per gli umani da tutta la fatica con cui si affaticano sotto il sole?” (Qo 1,3; cfr. 3,9)

L’attività umana produce profitto o delusione, guadagno o frustrazione? Le domande si accumulano quando prendiamo in mano con onestà la nostra esperienza e ci chiediamo quanto sappiamo – o sapremmo dire – del mondo e della vita. Forse poco, troppo poco... e rimaniamo con tante domande, con tante strade aperte, senza ben capire se davvero portano a una meta. Qohelet è un saggio e non accetta la sconfitta: egli vuole vedere, capire, trovare: ma che cosa trova alla fine? Solo se stesso: i suoi dubbi, le sue paure, il suo limite: “Ho visto che l’uomo non può scoprire tutta l’opera di Dio, tutto quello che si fa sotto il sole: per quanto l’uomo si affatichi a cercare, non scoprirà nulla. Anche se un sapiente dicesse di sapere, non potrà scoprire nulla” (Qo 8,17). Magra scoperta questa umanità rinchiusa in sé, ripiegata sui suoi dubbi e terrorizzata da un Dio incomprensibile:

“Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine” (Qo 3,11)

RIMANE SOLO UN DESIDERIO DOPO TANTA FATICA?

Un antico racconto, conservato negli archivi delle città orientali e dissepolto dagli archeologi, narra di Gilgamesh, un saggio re di Uruk, antica città i cui resti sono preservati nel sud dell’Iraq. Gilgamesh ha cercato di scoprire il mistero della vita, è giunto ai confini del mondo, ha sondato gli abissi, ma la vita gli è sfuggita di mano; la morte di un amico aveva provocato la sua ricerca, nel tentativo di non invecchiare e infine morire. Alla fine anch’egli si è dovuto rassegnare a percorrere la strada segnata per ogni essere umano. Il tempo rappresenta, infatti, il contrassegno che la vita sfugge di mano. Questo è appunto il problema di Qohelet: una vita breve, incerta nelle sue conclusioni. Tu vorresti trattenere nelle tue mani le tue conquiste e alla fine ti trovi solo con un ricordo che sfugge:

Nessun ricordo resta degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito (Qo 1,11)

LASCIARE CHE UN ALTRO CI AIUTI A LEGGERE LA VITA

Eppure Qohelet, nella sua saggezza, non ha il coraggio di fare un passo decisivo: per lui vale solo quello che sa valutare, pesare, confrontare. Ci si può avvitare sui propri ragionamenti, se non si ha il coraggio di lasciare che un Altro ci aiuti a leggere la vita, se non ci si ferma a invocarlo, se si vede in lui solo il terribile e misterioso sovrano del mondo e non il Padre che si prende cura dei suoi figli e delle sue figlie o il compagno di strada che ti aiuta a dare senso al cammino percorso, che spesso in una prospettiva puramente umana si rivela fallimentare (cfr. Lc 24,13-35); soprattutto Egli è colui che apre orizzonti più ampi dello spazio sotto il sole, perché in lui la vita non si consuma nell’arco dei nostri giorni, ma è pienezza, amore, dono di sé che resta per sempre.

Solo chi riconosce nello stare sotto il sole l’avventura resa possibile da un amore che ci supera e lo spazio della libertà nel quale si esercita la nostra responsabilità per costruire il mondo, solo costui può vivere in pienezza la vita e non considerare giorni pieni solo quelli in cui si ottiene qualche profitto o quando ci si sente padroni della vita perché ancora nel pieno vigore delle forze o belli e prestanti. Qohelet chiude il suo componimento con un poema che descrive l’invecchiamento umano (c. 12) introdotto dall’invito a godere finché si è giovani perché la giovinezza e i capelli neri sono un soffio (Qo 11,10). Ma il discepolo di Gesù sa che ciò che per un essere umano è impossibile è invece realtà di Dio, il quale ridona la vita a chi confida in lui, sostiene il fare di chi percorre il cammino del suo Figlio e apre lo sguardo a riconoscere che il mondo contiene già i segni della novità che solo Dio sa apportare, proprio come afferma l’apostolo delle genti:

“Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17).



Per scaricare la rivista accedi con le tue credenziali d'accesso o abbonati.

Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito