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Programma di Missione Oggi per il 2005

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VENIAMO DA UN ANNO IN CUI LA “GUERRA INFINITA” NON SOLO SI È CONFERMATA LA CHIAVE FONDAMENTALE DI LETTURA DELLA REALTÀ ODIERNA, MA È RIUSCITA A RADICARE IN MOLTE COSCIENZE LA CONVINZIONE DI ESSERE NEL PIENO DI UN CONFLITTO CUPO, SANGUINOSO E DAI CONTORNI QUASI APOCALITTICI, TRA OSCURANTISMO E MODERNITÀ, UNA SORTA DI “ARMAGEDDON FINALE” TRA CIVILTÀ E BARBARIE.

Nella sua potenza apparentemente implacabile e nella unilateralità del tutto arbitraria, la guerra distrugge non solo persone e popoli, ma scardina le regole minime delle relazioni tra le genti e del diritto internazionale, alimentando una rabbiosa disperazione che fa da brodo di coltura di terrorismi e violenze selvagge. E sembra minare non solo lo spirito critico, ma la stessa umanità, richiamando tutti a fedeltà tribali che riducono l’altro a nemico, e a un nemico da annientare perché personificazione del male, del non umano.

DIALOGO E ISLAM

Ecco allora il diffondersi della percezione, per esempio, che l’Islam sia strutturalmente incapace e indisponibile al dialogo, perché composto di tagliatori di teste e “beduini arrapati”, mentre suona “diserzione” e “tradimento” il semplice chiedersi se, reciprocamente, il mondo arabo possa dubitare della volontà di pacifica coesistenza di un cristianesimo identificato coi bombardamenti su donne e bambini delle città irachene.

Anni di riflessioni sul rapporto Nord-Sud, sulla società multiculturale, sull’incontro tra i popoli sembrano spazzati via dalla necessità di riaffermare che “noi siamo i buoni, comunque, qualunque cosa facciamo” (salvo poi doversi chiedere smarriti “perché ce l’hanno con noi?”) e di schierarsi in modo militante a difesa dell’”Occidente”, contro i “barbari”.

A questa tentazione non sempre pare sottrarsi la stessa Chiesa italiana, che a volte sembra riproporre il cattolicesimo come “religione civile” e strumento di coesione culturale del nostro Paese. Eppure la presenza in tutte le regioni della Terra, decenni di riflessioni sull’inculturazione della fede, ma, più ancora, la stessa “cattolicità” (universalità) della Chiesa, dovrebbero preservarla dall’identificarsi con quell’Occidente dal cui seno sono pur venuti la Conquista, il colonialismo, Auschwitz e Hiroshima, e anzi aiutarla a essere coscienza critica dei ricchi e dei potenti.

Per questo Missione Oggi continuerà a cercare di sfatare il mito per cui “siamo brava gente e se a volte sbagliamo, sono errori veniali e tutto sommato la colpa è comunque degli altri”.

L’IDENTITÁ E LA LAICITÁ

In questo quadro si innestano i sempre più massicci fenomeni migratori, costringendoci a vedere un “altro” che è persona, con storia, cultura e risorse proprie. Tutto ciò crea nuove tensioni che rimandano a questioni fondamentali come l’identità, la laicità, la democrazia.

Cercando di proseguire e attualizzare gli ultimi Convegni di Missione Oggi dedicati alla “Pace come progetto” e alla “Verità e riconciliazione”, metteremo, quindi, al centro del nostro appuntamento annuale una riflessione sullo spazio della religione in una società laica e pluralista. Tenteremo di opporre agli ideologi e ai capitani di ventura dello “scontro delle civiltà” la proposta di una convivenza tra le fedi e le culture fondata sul rispetto, sulla tolleranza, sul riconoscimento della diversità, sulla consapevolezza che, nell’epoca della globalizzazione, la sicurezza è di tutti o di nessuno, e passa per una redistribuzione delle ricchezze e dei poteri a livello planetario.

I POVERI, ATTORI DI SVILUPPO

Parallelamente cercheremo di guardare ai soggetti più deboli (i poveri, gli immigrati, ecc.) al di fuori di un’ottica pietistica, denunciando i drammi spesso dimenticati di cui sono vittime, accompagnando i loro sforzi per sopravvivere dignitosamente e le loro lotte di resistenza, ma soprattutto mettendo in evidenza le loro esperienze di autorganizzazione, costruzioni di reti di solidarietà e autogoverno, la loro capacità di risolvere autonomamente i conflitti, il loro proporsi come protagonisti della politica, attori di sviluppo e soggetti ecclesiali.

Perciò MO continuerà a informare sui Paesi e i conflitti che i grandi mass media solitamente ignorano e ad affrontare quelli più eclatanti, offrendo un “altro punto di vista”, quello delle vittime. E a dedicare spazio ai temi dell’ambiente, delle risorse, dell’energia, da sempre alla base delle guerre, ma oggi sempre più al centro di conflitti in un’economia che riduce ogni bene (l’acqua, i geni, la biodiversità, ecc.) a merce.

Riserveremo, infine, un’attenzione alle contraddizioni che attraversano quella società civile da sempre impegnata nella cooperazione allo sviluppo, con aziende private e imprese del terzo settore coinvolte in una ricostruzione che è ormai parte strutturale di ogni l’intervento bellico, le ong che rischiano di essere arruolate e il soccorso d’emergenza che si mescola con l’intervento militare, gli operatori umanitari che sono chiamati a svolgere ruoli politici e i volontari che vengono (da tutte le parti) equiparati ai militari.



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