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Per un ministero di presenza e condiscendenza

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La visita di papa Francesco alla fine dello scorso novembre in Myanmar e Bangladesh assume un significato speciale, visto da quell’angolo di Lombardia che è la piccola diocesi di Crema (poco più dell’uno per cento della Regione, in termini di popolazione e di superficie), dove cerco di svolgere il mio servizio episcopale dall’aprile 2017.

Diocesi piccola, ma che ha dato alla luce decine di missionari e missionarie, che hanno operato in ogni parte del mondo: oggi sono ancora più di quaranta, anche se non tutti, per ovvie ragioni di età o di salute, sono in attività. Anche il Myanmar e il Bangladesh hanno visto (e, nel caso del Bangladesh, vedono tuttora) la presenza di missionari di origine cremasca. In Myanmar riposa p. Alfredo Cremonesi, nato a Ripalta Guerina il 16 maggio 1902, entrato prima nel Seminario diocesano e poi nel Pontificio istituto missioni estere (Pime), per il quale fu ordinato prete nel 1924. Come missionario del Pime partì per l’allora Birmania nel 1925, e vi rimase fino alla morte.

Nel contesto della guerra civile che insanguinò il paese all’indomani dell’indipendenza (1948), in particolare della cosiddetta “guerra cariana”, p. Alfredo fu ucciso – in odium fidei, come si dice in tal caso e come si spera che anche la Chiesa possa confermare ufficialmente, portando a conclusione la causa di beatificazione – il 7 febbraio 1953, nel suo villaggio di Donokù, in diocesi di Toungoo (poco meno di 300 km a nord di Yangon/Rangoon).

Cremonesi è stato un missionario di “quelli di una volta”, come si capisce leggendo le sue lettere (che sono la base della biografia scritta da P. Gheddo, Alfredo Cremonesi (1902-1953). Un martire per il nostro tempo, Emi 2003) e anche solo a partire dal fatto che non tornò più in Italia, una volta partito per la missione. Che cosa ha da dire per la “missione oggi”?

È chiaro che c’è, prima di tutto, il valore di una testimonianza che possiamo ben definire “eroica”: usando questo aggettivo, d’altra parte, alla luce di una lettera che p. Alfredo scrisse si suoi famigliari nell’ottobre 1950, quando dovette abbandonare il suo villaggio, devastato dalle incursioni dei ribelli cariani, e rifugiarsi nella sede della missione a Toungoo.

Fu un momento particolarmente difficile – che vide massacri, saccheggi, distruzioni, e l’uccisione di due altri missionari del Pime, il beato Mario Vergara e Pietro Galastri –, al punto di fargli venire la tentazione “di piantare qui tutto e di andare dove queste prove e preoccupazioni non ci sono più. È difficile la vita eroica”, concludeva Cremonesi, con un tono che non saprei dire se più sconfortato o autoironico.

Mi sembra, in ogni caso, di cogliere nell’esperienza missionaria di Cremonesi soprattutto un grande desiderio di stare con la sua gente. I mesi che è costretto a trascorrere lontano dal suo villaggio di Donokù rappresentano per lui “un’agonia... più dolorosa di qualunque morte” (lettera dell’11 gennaio 1951). La “morte” che più lo preoccupa è questa separazione dalla sua comunità, il resto non conta: “Al massimo – scriveva nella stessa lettera – mi potranno ammazzare, il che non sarà di gran danno, giacché adesso, al posto di un missionario ammazzato, lasceranno venire un missionario nuovo, pieno di salute, di brio, di entusiasmo che farà certamente mille volte meglio di me”; tornato finalmente al suo villaggio, scriverà di nuovo, guardando al futuro: “morire di qualunque morte, ma non in esilio”.

Si può dire che il suo martirio è stato anche il martirio della comunione, un vero “dare la vita per chi si ama”. Parlando ai vescovi del Bangladesh, il 1° dicembre 2017, papa Francesco li ha esortati a vivere un vero “ministero della presenza” in stile di autentica prossimità e “condiscendenza”, a immagine del Figlio di Dio incarnato: è un bel richiamo anche per me, vescovo in Italia. Missionari come Cremonesi, d’altra parte, mi fanno misurare fin dove arriva questa “presenza”, che solo in questa misura piena e sovrabbondante può essere testimonianza autentica del Vangelo.

  • Daniele Gianotti - Vescovo di Crema.


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