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LA RIVELAZIONE DIVINA / CORAGGIOSE APERTURE

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Il documento conciliare Dei Verbum (DV), offre una prospettiva del tutto nuova sulla rivelazione di Dio agli esseri umani. Nel suo primo capitolo, parla della rivelazione a partire dalla Scrittura, abbandonando con decisione una visione dottrinale della stessa; non più una “istruzione” di Dio, ma una “comunicazione” personale: “Piacque a Dio rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà […]. Con questa rivelazione, infatti, Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici” (DV 2).

Tale autocomunicazione divina, poi, non appare più solo come un fatto del passato, ma anche come qualcosa che continua, offrendoci un “Dio in dialogo”, secondo la felice espressione di Benedetto XVI in Verbum Domini 6: “La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi”. Dunque, l’evento della rivelazione rende Dio accessibile agli uomini nei termini di una relazione personale che egli stabilisce con noi (“…e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (DV 2).

La rivelazione consiste in un atto assolutamente gratuito, che nasce dalla volontà di Dio (“Piacque a Dio…”). Si osservi al riguardo la presenza esplicita, in DV 2, dell’espressione “storia della salvezza”, che consente di collocare la rivelazione divina all’interno di una precisa dimensione storica. In quest’ottica, il “presente” della rivelazione nasce dalla dimensione cristocentrica della rivelazione, che ingloba tuttavia in sé sia l’aspetto trinitario che quello antropologico dell’autocomunicarsi di Dio; la rivelazione riguarda “la salvezza degli uomini” e Cristo ne è il “mediatore” e la “pienezza”. Si veda anche DV 4 ove si introduce il ruolo dello Spirito.

ALCUNI INTERROGATIVI

Tuttavia, questo straordinario testo, mentre ha dischiuso alla Chiesa vie nuove e coraggiose, lascia anche aperti alcuni interrogativi e non risolve del tutto alcune questioni (cfr. Ch. Theobald, “Seguendo le orme…” della Dei Verbum. Bibbia, teologia e pratiche di lettura, EDB, Bologna 2011: primo capitolo “La rivelazione. Dei Verbum quarant’anni dopo”, pp. 11-30).

Sottolineiamo con forza che non si tratta qui tanto di muovere qualche critica al testo conciliare, quanto piuttosto della percezione di alcuni aspetti non affrontati pienamente dal Concilio e, in gran parte, oggi ancora non del tutto esplorati. Proprio le coraggiose aperture offerteci dal documento conciliare ci danno, allo stesso tempo, la possibilità di una sua revisione critica.

LA RIVELAZIONE E I LIMITI UMANI

Prima di tutto, la DV non parla mai della possibilità del rifiuto della rivelazione stessa da parte degli esseri umani, ai quali la rivelazione è rivolta; Dio si rivela a noi “come ad amici”, è vero; e lo fa gestis verbisque, ossia nei fatti e nelle parole.

Ma come proporre la rivelazione a chi non accetta che vi sia un Dio, o a chi non crede al Dio che si rivela nella Bibbia? O a chi, come oggi spesso avviene, è del tutto indifferente di fronte al problema stesso della fede?

La rivelazione si incrocia così con il mistero della debolezza e della fragilità umana e il credente non può mai pretendere che la propria fede nel Dio di Gesù Cristo possa divenire fonte di senso per tutti gli esseri umani. Se DV 13 parla del mistero della “condiscendenza” della parola divina che, analogamente al mistero dell’incarnazione, è parola di Dio che accetta la limitatezza della parola umana, forse anche la Chiesa che accoglie il compito di vivere e testimoniare questa parola deve fare i conti con la finitudine umana e persino con il rischio del fallimento.

LA RIVELAZIONE E LE ALTRE FEDI

In secondo luogo, quale rapporto può esistere tra la rivelazione cristiana e le altre fedi religiose? Il Concilio affronta in realtà tale questione nella dichiarazione Nostra aetate. Oggi, tuttavia, il problema è divenuto ancora più urgente e complesso. Fino a che punto la fede cristiana può ammettere la verità delle altre fedi? E in quale senso la rivelazione cristiana può pretendere di presentarsi come “vera” in un panorama religioso così diversificato? Ancora: quale rapporto esiste tra il dichiarato valore universale della rivelazione e la sua dimensione storica che inevitabilmente la condiziona?

Tali questioni attendono ancora una piena risposta: il cristianesimo si propone come fede universale, ma nasce come sopra si è accennato da una rivelazione radicata in una precisa situazione storica. Che ne è, dunque, delle altre fedi? La DV ci offre già, in realtà, una traccia di risposta; se la rivelazione è infatti dialogo tra Dio e gli esseri umani, che raggiunge in Cristo la sua massima espressione, è nella comunità credente vista come “segno e strumento” (cfr. Lumen gentium 1) della relazione degli uomini con Cristo che la rivelazione acquista la sua piena credibilità di fronte al mondo.

SCRITTURA E TRADIZIONE

In relazione a questo aspetto, assistiamo altresì a un fenomeno singolare. In DV 11-13 il Concilio affronta il problema dell’ermeneutica delle Scritture, ovvero di come sia necessaria un’interpretazione delle Scritture stesse che tenga in primo luogo conto della loro dimensione “incarnata” nella storia. Se la rivelazione di Dio, infatti, è strettamente legata alla storia, da essa in qualche modo è anche condizionata; si veda in particolare tutta la prima parte di DV 12.

Ma, secondo il Concilio (cfr. DV 7-10) la rivelazione non passa soltanto attraverso le Scritture; componente fondamentale della rivelazione agli uomini è infatti anche la tradizione della Chiesa; sappiamo che nella genesi della DV la questione del rapporto Scrittura/Tradizione ha conosciuto dibattiti molto accaniti. E tuttavia il Concilio non arriva a proporre un’ermeneutica della tradizione analoga a quella delle Scritture.

In altri termini, le Scritture devono sempre essere interpretate e l’interpretazione non può prescindere dalla dimensione “incarnata” delle Scritture stesse; ciò non è necessariamente vero per la tradizione, la quale – senza che la DV in realtà lo affermi – rischia di essere intesa, come avveniva nel passato, in qualche modo superiore alla Scrittura stessa.

IL RAPPORTO VITALE TRA LETTORE E TESTO

La Dei Verbum non offre che scarne indicazioni sull’accesso concreto degli uomini di questo tempo alla rivelazione divina; a questo riguardo, il capitolo VI della DV è rimasto un programma di lavoro appena abbozzato e solo in parte recepito nella prassi ecclesiale post-conciliare. Il documento conciliare non coglie poi pienamente il fatto che è nel rapporto vitale tra lettore, testo e autore biblico che la rivelazione si rende attuale.

Su questo rifletterà il documento della Pontificia commissione biblica del 1993 (L’intepretazione della Bibbia nella vita della Chiesa), sottolineando l’importanza di nuovi metodi esegetici che, come ad esempio l’analisi narrativa, privilegiano l’apporto del lettore nel processo di interpretazione del testo. Da questo punto di vista, essi rispondono certamente meglio alle esigenze di una post-modernità che tende a escludere del tutto Dio dal proprio orizzonte. Ma la Scrittura, se letta alla luce degli interessi del lettore che ad essa si accosta, è in grado di parlare anche a chi ne rifiuta l’ispirazione.

La fede nella rivelazione di Dio, che parla nelle Scritture, va così di pari passo con la libertà che le Scritture stesse presuppongono nei loro lettori/ascoltatori.

LA RIVELAZIONE E IL “SILENZIO” DI DIO

Eppure lo sforzo enorme del Concilio non è stato quello di proporre – com’era il caso del Vaticano I – una dottrina certa che duri nel tempo, indipendentemente da qualsiasi situazione storica; è l’atteggiamento di tanti tradizionalisti “di ritorno” che invocano oggi una “tradizione” immutabile alla quale è il mondo che deve adeguarsi.

I padri conciliari hanno cercato piuttosto di collocare la fede cristiana e la stessa tradizione della Chiesa sullo sfondo della modernità: essa sembra sempre più caratterizzata dall’assenza di Dio o – forse anche più radicalmente – dall’indifferenza circa una presenza o meno di Dio nel mondo. Il capitolo II della DV sulla rivelazione dovrebbe allora essere integrato oggi con una riflessione coraggiosa sul “silenzio” di Dio che si accompagna alla sua rivelazione al mondo.



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