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LA MISSIONE COME DIALOGO E COMPASSIONE

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L’espressione “dialogo profetico” non ha una significativa diffusione in America latina, però i due termini sono molto evocativi nella sua tradizione ecclesiale. L’idea di “dialogo profetico” permette, secondo chi l'ha coniata, di ricondurre a comprensione unitaria vari elementi della prassi missionaria: testimonianza e annuncio; liturgia, preghiera e contemplazione; giustizia, pace e salvaguardia del creato; dialogo interreligioso; inculturazione; riconciliazione.

Tali elementi sono tutti, sia pur in diversa misura, presenti nell'esperienza della Chiesa dell’America latina.

ELEMENTI DEL DIALOGO PROFETICO

Caratterizzante è stato ed è l’impegno per la giustizia, che ha visto molti cristiani denunciare le situazioni di oppressione ed emarginazione, condividere forme di vita solidale e partecipare a lotte sociali, riconoscendo non solo il diritto degli ultimi a organizzarsi, ma l’operare dello Spirito in questi movimenti popolari. Più di recente tale impegno si è esteso ai problemi ambientali.

Da queste pratiche è sorta, col nome di teologia della liberazione, una rilettura dell'intero messaggio evangelico alla luce di quella “opzione preferenziale per i poveri” che costituisce il maggior contributo latinoamericano al magistero della Chiesa universale. Ciò ha prodotto quella radicale forma di testimonianza che è il martirio, in cui si sono ritrovati fianco a fianco catechisti e sindacalisti, religiose e leader contadini, con la particolarità di essere vittime di altri cristiani e non per ragioni confessionali, ma per motivi di scontro tra diverse visioni del cattolicesimo. Né si può dimenticare, sul piano della testimonianza e dell'annuncio, quella generazione straordinaria di vescovi, che il teologo Joseph Comblin definì “santi padri della Chiesa latinoamericana”.

Questo rinnovamento ecclesiale ha comportato anche la produzione di un ampio repertorio di preghiere, canti, liturgie e opere d’arte (dai Salmi di Ernesto Cardenal ai murales di Maximino Cerezo Barredo alla Misa campesina nicaraguense) che ha portato queste forme di espressione religiosa a frequentare i terreni inediti del riscatto sociale, della violenza politica e della coscientizzazione culturale.

Presente, anche se meno elaborato sul piano teologico, è stato il lavoro dei cristiani per la pace, mentre quello per la riconciliazione (dopo decenni di violenza o tra indios e bianchi oppressori) è risultato credibile solo là dove, come in Guatemala, le Chiese sono riuscite a decidersi tra chi chiedeva verdad y justicia sulle violazioni dei diritti umani e chi sollecitava perdon y olvido di quei crimini, restando invece ambiguo nei paesi come l’Argentina in cui la gerarchia aveva legittimato regimi repressivi in nome della “nazione cattolica”.

Un notevole sforzo i missiologi latinoamericani (dall’equipe messicana del Centro nacional de ayuda a las misiones indigenas-Cenami all’italiano Ettore Frisotti) stanno compiendo a favore del dialogo con le religioni delle popolazioni autoctone e di quelle dei discendenti degli schiavi africani nonché in vista dell'inculturazione del Vangelo.

Negli ultimi anni si è affrontata l’urgenza di un dialogo tra teologia della liberazione e pluralismo religioso.

Riprendendo, quindi, i due termini del nostro concetto, possiamo aggiungere che il dialogo è stato anche all’interno della Chiesa, attraverso il forte sviluppo concreto, a volte anche forzando la gabbia di un diritto canonico mortificante, di una sua concezione comunitaria: basti pensare alle Comunità ecclesiali di base o all'esperienza di collegialità senza paragoni in altri continenti delle Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano, passando per il profilo sinodale attribuito in molte Chiese particolari alle Assemblee diocesane e al rilevante ruolo svolto spesso dalle Conferenze episcopali.

La profezia, d’altro canto, è stata vissuta proprio come discernimento, “in tempo favorevole o contrario, nonostante l’opposizione, la derisione e la persecuzione” del “senso degli eventi quotidiani”, come “annuncio della parola di Dio al popolo di Dio” e come “denuncia di ciò che si oppone al progetto di vita sognato da Dio”, con una fedeltà capace di andare fino alla morte, come esemplificato da p. Ignacio Ellacuría.

SFIDE E PROSPETTIVE PER LA MISSIONE

In America latina il mondo evangelico legato alle “Chiese di missione” ha negli ultimi 40 anni sviluppato il concetto di “missione integrale”, per affermare che la missio Dei abbraccia l’intera vita umana in tutte le dimensioni. Il padre di questa prospettiva, il pastore battista ecuadoriano René Padilla, ha sostenuto la necessità di coniugare “annuncio cristiano” e responsabilità sociale.

L'America latina è oggi caratterizzata da grande dinamismo sociale, da governi non espressione delle oligarchie tradizionali, dalla fuoriuscita dalla miseria per considerevoli segmenti di popolazione, ma anche dal persistere di un’integrazione subalterna nel mercato mondiale che lascia poco spazio ad alternative nazionali autonome ed esige uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali, a scapito dell’ambiente, da una sempre più pervasiva presenza della violenza criminale e del narcotraffico. In tale contesto particolarmente felice mi pare l'intuizione del missiologo luterano brasiliano Roberto Zwetsch, che parla di “missione come com-passione”. Secondo l’autore la “compassione di Dio” potrebbe essere la traduzione della missione per un tempo in cui impera “l'insensatezza della corsa al profitto a qualunque costo, lo sfacelo della distruzione dell'ambiente e l'insensibilità per la sofferenza di milioni di esseri umani”.

Prospettive promettenti sembra dischiudere oggi anche la “missione continentale” lanciata nel 2007 dalla V Conferenza dell'episcopato latinoamericano: dopo un quinquennio in cui i modi di intenderla hanno oscillato dal rilancio delle devozioni tradizionali al tentativo di contrastare la crescita delle Chiese pentecostali e neopentecostali riproducendone i tratti carismatici o utilizzando tecniche di marketing, l’elezione di papa Francesco pare orientarla verso le “periferie geografiche ed esistenziali”.

In questa luce la missione dovrà, prima di tutto, continuare a essere il “vivere e lottare la causa di Gesù”, cioè per il Regno di Dio buona notizia per tutti gli oppressi, cui mettere al servizio la Chiesa. Il “Regnocentrismo” resta la “grande conversione pendente”, in vista della quale servirà una “missione rivolta all'interno” che muti le strutture ecclesiastiche per “costruire il Regno” anche dentro la comunità ecclesiale (per es. con la piena partecipazione delle donne).

Ciò implicherebbe pure riprendere la riflessione su “fede e politica”, interrogandosi su come realizzare un “accompagnamento critico” dei processi politici di cambiamento, cui non mancano radici nel “cristianesimo della liberazione”, ma  verso i quali è finora prevalsa la diffidenza. In secondo luogo sarà necessario rilanciare i processi di inculturazione del cristianesimo nelle cosmovisioni indigene e afroamericane, favorendo l'effettivo sviluppo di Chiese autoctone, come pure approfondire il dialogo con le religioni non cristiane locali e il contributo della tradizione ecclesiale latinoamericana (cioè “a partire dall'opzione per i poveri”) al confronto mondiale tra le fedi.

Una pratica più consapevole dovrà, poi, strutturare l'accompagnamento di quelle categorie di persone più o meno escluse, da riconoscere come soggetti ecclesiali a pieno titolo: migranti, disabili, detenuti, malati cronici, vittime di violenza sessuale, ecc. In terzo luogo è urgente irrobustire la dimensione ecologica della missione e la presenza nelle enormi periferie delle megalopoli latinoamericane.

Terreni ineludibili, ma ancora quasi inesplorati sono quelli delle donne, dei loro processi di autoaffermazione e dei diversi femminismi, quelli di una rinnovata “identità maschile” capace di assumere la propria parzialità, e quelli delle minoranze sessuali che chiedono la costruzione di una “Chiesa dell’arcobaleno”.

Infine la missione sarà chiamata a misurarsi con la secolarizzazione in corso anche in America latina, ripensando la laicità, i privilegi dell'istituzione ecclesiastica, i rapporti tra etica cristiana e diritto civile.  

CONCLUSIONE

Nell'odierno contesto latinoamericano “missione” sembra, quindi, sempre più dover far rima con “accompagnamento, consolazione, condivisione, vicinanza, relazione, incontro” e muoversi in spazi tematici e umani inediti, dove dovrà favorire ancora lo sviluppo di teologie contestuali, che permettano alla Chiesa nuovi sguardi su se stessa, sul Vangelo e su Dio.

La Chiesa è “per sua natura missionaria” nel senso che è fatta per andare costantemente oltre se stessa, verso i mondi in cui essere salvezza e presenza stimolante di Dio.

Sono le periferie geografiche ed esistenziali, frequentando le quali essa comprende sempre più nitidamente il Vangelo e la propria identità. Mentre l'annuncio cristiano si riduce, ancora una volta, al kerigma originario, alla novità del Gesù crocifisso e risorto.



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