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La figlia della verità e della giustizia

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Dieci anni fa mi trovavo a Cimpunda, un quartiere periferico e montagnoso, appena fuori Bukavu in Congo. Come da un immenso balcone ammiravamo il lago Kivu, la città stessa di Bukavu e, all’orizzonte, le montagne del Rwanda. I ricordi sono ancora vivi: durante questi mesi, con amarezza, passavamo il pomeriggio a contare le capanne che bruciavano in territorio rwandese. Giorno dopo giorno non comprendavamo la follia che si abbatteva su quei villaggi, dove la nostra gente andava a rifornirsi per il mercato e ancora si poteva trovare un telefono che funzionasse. Chi può dimenticare la fiumana di persone che si riversava su Bukavu, in maggioranza donne e bambini, con i pochi beni essenziali che ancora possedevano? A Cimpunda fummo capaci di accogliere nelle scuole, nelle comunità di quartiere e nelle famiglie circa 3.000 rifugiati.

Il poco che avevamo veniva condiviso, nell’ospitalità africana, con i rifugiati tutzi prima e hutu poi in fuga dal Rwanda

Una sera mi sono incontrato con Policarpo, un bravo meccanico congolese che aveva sposato Brigida, rwandese. Scappava assieme alle sue tre figlie portando con sè un pò di pentole e delle masserizie. “Siamo sulla strada ormai da due anni. La mia vita, dopo il mio matrimonio con Brigida, è un continuo fuggire.” Lo diceva con gli occhi umidi. “C’è una soluzione a questa guerra infinita?” osai domandargli in tutta schiettezza. “Padiri, esclamò, Mungu anajua, solo Dio lo sa. Siamo stati contaminati dal virus della violenza. Il desiderio di vendetta fa da padrone. La chiave del nostro futuro è la riconciliazione”, e poi aggiunse con un profondo sospiro, “che è la figlia della giustizia e della verità!”.

Dieci anni fa il Sudafrica metteva fine all’apartheid con una costituzione provvisoria. Il presidente Nelson Mandela instaurava un modo nuovo di risolvere i conflitti. Con la Commissione Verità e Riconciliazione veniva creato un tribunale morale che non sentenziava sui colpevoli e sugli innocenti. Era uno spazio pubblico dove poter raccontare il dolore delle vittime o dei loro parenti e raccogliere la verità in cambio dell’amnistia. Dal Sudan al Mozambico, dall’Angola alla Sierra Leone, o anche da Brescia a Milano, i conflitti hanno regnato nella storia e i loro frutti odiosi sono ancora evidenti. Trent’anni fa a Brescia scoppiava una bomba in Piazza della Loggia che faceva otto vittime e 102 feriti. I parenti piangono tutt’oggi i loro morti e ancora non sanno chi siano i responsabili.

La presenza di p. Michael Lapsley al Convegno di Missione Oggi ha messo bene in evidenza da dove può nascere la figlia della giustizia e della verità. C’è un sentiero che lui stesso ha percorso e che tutta la nazione sudafricana ha istituzionalizzato con la Commissione Verità e Riconciliazione. Esso parte dall’essere vittima di un conflitto, oggetto di violenza e d’odio, continua con la consapevolezza di essere un sopravvissuto, mostrando i segni delle cicatrici, e finalmente giunge a trasformare la disgrazia in grazia. Un percorso valido in Africa e a Brescia, fatto da individui coraggiosi, ma anche amanti della vita e non condizionati dall’odio.

Policarpo aveva ragione: la riconciliazione è figlia della giustizia e della verità. La riconciliazione è un seme, non un prodotto; se coltivato, innaffiato, porta frutti insperati: un nuovo futuro. Desmond Tutu direbbe: non c’è futuro senza perdono.



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