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LA CHIESA LATINOAMERICANA AL TEMPO DI FRANCESCO

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A sette anni dall’elezione del primo papa latinoamericano, la Chiesa subcontinentale vive una transizione tra il modello ecclesiale di neocristianità impostosi durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e quello più dialogante con la post-modernità e di servizio al mondo, e in particolare dei poveri, proposto da Francesco. La valorizzazione delle Chiese locali nel quadro di una “Chiesa in uscita”, ponendosi in discontinuità rispetto alla centralizzazione e restaurazione ecclesiale dei tre decenni precedenti, si fa strada lentamente, culminando finora nell’inedito Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica

UN’ARIA DI MAGGIOR LIBERTÀ

Nella Chiesa latinoamericana si respira un’aria di maggior libertà e quasi scompaiono i provvedimenti censori nei confronti di membri del clero “non allineati”, alcuni dei quali, anche famosi (gli ex “preti-ministri” del governo rivoluzionario nicaraguense degli anni ’80 p. Ernesto Cardenal e p. Miguel D’Escoto, il biblista peruviano Eduardo Arens ecc.), vengono riabilitati con gesti di grande valore simbolico. Il rinnovamento dell’episcopato vede la scelta di vescovi dalla spiccata sensibilità pastorale, con alcune nomine che segnano un chiaro cambiamento rispetto al passato (esemplari i casi di mons. Hector Aguer, della Plata in Argentina, e il card. Juan Cipriani, arcivescovo di Lima, in Perù, esponenti di spicco dell’ala più conservatrice, sostituiti da mons. Victor Fernandez e mons. Carlos Castillo). Ciò, insieme al riscatto, non senza contrasti, dei martiri del subcontinente (con la canonizzazione di mons. Oscar Romero, la beatificazione di mons. Enrique Angelelli, la visita del papa sulla tomba di p. Luis Espinal ecc.), e al rilancio dello spirito del Vaticano II alla luce del magistero latinoamericano dell’ultimo mezzo secolo, con al centro l’opzione per i poveri, ridanno ossigeno alle assai indebolite componenti avanzate e socialmente impegnate. Dopo anni di emarginazione, queste cominciano a recuperare spazi di cittadinanza ecclesiale, senza però che si assista a una fioritura di protagonismo dal basso. 

Se i teologi della liberazione riuniti nella rete Amerindia si schierano subito in modo entusiasta a fianco di papa Francesco e le Ceb (Comunità ecclesiali di base) sembrano uscire da una fase di mera sopravvivenza, in cui peraltro molte avevano abbandonato l’attivismo sociopolitico tipico degli anni ’70-’80 per rifluire verso esperienze più spiritualizzanti, le novità più significative paiono venire dal moltiplicarsi dei gruppi cristiani Lgbt, dalle diffuse iniziative a favore dei migranti e da un nuovo impegno ambientalista (a livello tanto di base, con gruppi legati a lotte ecologiste locali o aderenti al Movimento cattolico mondiale per il clima – sorto su impulso dell’enciclicaLaudato si’ – quanto istituzionale, con la nascita di Commissioni diocesane per l’ambiente, la salvaguardia del creato ecc. o l’ampliamento di quelle Giustizia e pace). A questo livello, e nell’intreccio col sostegno alle comunità indigene, l’impegno di molte Chiese locali e operatori pastorali contro progetti estrattivi (di minerali, petrolio, legname ecc.) e infrastrutturali (costruzione di dighe, vie di comunicazione ecc.) trova una cornice istituzionale nella Costituzione, prima, della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), poi della Rete ecclesiale ecologica mesoamericana (Remam), entrambe promosse dal Dipartimento di Giustizia e solidarietà del Consiglio episcopale latinoamericano(Celam), dalla Confederazione latinoamericana e caraibica delle religiose e dei religiosi (Clar), dal Segretariato latinoamericano e caraibico della Caritas (Selacc), mentre con una prospettiva più “movimentista” ed ecumenica nasce la Rete Chiese e miniere e in Salvador la Chiesa guida la mobilitazione per la messa al bando dell’industria mineraria. 

Intanto lo stesso Celam, condannato negli ultimi anni all’insignificanza dalla diffidenza verso ogni fermento di innovazione teologica e pastorale, tanto da rimanere estraneo persino al Sinodo panamazzonico, avvia “un processo di ristrutturazione e rinnovamento” in una prospettiva di “profezia e sinodalità”. E le congregazioni religiose, che, nonostante il ridimensionamento numerico sperimentato negli ultimi anni, conservano numeri ragguardevoli (150mila tra uomini e donne), attraversano quasi tutte una fase di rifondazione o riattualizzazione dei propri carismi in uno spostamento verso le periferie sociali ed esistenziali – certo con un processo meno clamoroso di quello che negli anni ’70 portò alla nascita dei Gruppi religiosi inseriti in ambienti popolari (Grimpo), ma stimolato dagli inviti di papa Francesco a “uscire” – nell’accompagnamento delle comunità indigene, delle donne vittime della tratta di esseri umani, dei migranti ecc. 

LA CRISI DEGLI ABUSI SESSUALI 

Sebbene inizino a diffondersi i pronunciamenti ecclesiali contro i femminicidi, tanto che il tradizionalmente conservatore episcopato messicano arriva ad appoggiare lo “sciopero delle donne contro la violenza di genere”, la Chiesa resta in prima fila nella lotta contro la legalizzazione dell’aborto, il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e tutto quanto va sotto l’etichetta di “ideologia gender”, col sostegno delle Conferenze episcopali alle “Marce per la vita e la famiglia” promosse da diversi Fronti nazionali della famiglia all’insegna degli slogan Con mi hijos no te metas (Lascia stare i miei figli) o Estoy a favor del diseño original – La familia como Dios la creó (Sono a favore del progetto originale – La famiglia come Dio l’ha creata), in cui si registra la convergenza con le Chiese evangeliche fondamentaliste. 

Comunque il peso della Chiesa cattolica nelle società latinoamericane, ancora rilevante, ma intaccato dalla secolarizzazione della cultura e dalla crescita delle Chiese pentecostali, risente della credibilità scossa, soprattutto in alcuni paesi, dagli scandali prodotti dagli abusi sessuali su minori compiuti da membri anche assai noti del clero e dalle coperture loro garantite dalle gerarchie. Il caso più clamoroso è quello del Cile, dove la vicenda dell’ordinario di Osorno, mons. Juan Barros, coinvolge lo stesso Papa e porta tutti i vescovi a rimettere il mandato nelle sue mani, ma innesca in molte diocesi forme inedite di autorganizzazione dei fedeli, culminate in due Sinodi autoconvocati di laiche e laici

In questo contesto si assiste alla crisi di quei movimenti apostolici ultraconservatori nati in America latina e assurti negli scorsi decenni a modelli di ortodossia dottrinale e fecondità vocazionale, acquisendo grande potere nell’istituzione ecclesiastica nonostante i tratti di autoritarismo, culto della personalità e manipolazione psicologica: i Legionari di Cristo, fondati in Messico nel 1941, e il Sodalizio di vita cristiana, nato nel 1971 in Perù, sono travolti dalle rivelazioni sugli abusi sessuali perpetrati per decenni dai loro fondatori, p. Marcial Maciel Degollado e il laico peruviano Luis Figari, vengono “commissariati” dalla Santa Sede e la loro stessa sopravvivenza è in discussione. Analogo intervento vaticano subiscono gli Araldi del Vangelo, fondati nel 1999 dal brasiliano mons. João Scognamiglio Clá Dias, già discepolo di Plinio Corrêa de Oliveira, leader della reazionaria Società brasiliana di difesa di tradizione, famiglia e proprietà.Disorientata dall’insistenza di papa Francesco sulla centralità dei poveri appare invece l’Opus Dei, fautrice di una “opzione per le élites” per “cristianizzare” il mondo moderno, nel quadro di una “neocristianità conservatrice” fondata sul legame tra Chiesa e gruppi dominanti.

VESCOVI E GOVERNI

Di fronte alla fine del “ciclo progressista”, verso i cui governi, che spesso si richiamano all’opzione per i poveri, nella Chiesa era prevalsa la diffidenza, non senza a volte divergenze tra vertici e base, e all’instabilità politica seguitavi, gli episcopati si schierano apertamente contro gli esecutivi giudicati “neopopulisti” e autoritari (Venezuela, Nicaragua, Bolivia ecc.), mentre nel caso di quelli di centro-destra l’eventuale opposizione riguarda singoli provvedimenti e gli appelli al dialogo di fronte alla proteste popolari contro i secondi sono ripetuti con un tono assai più timido, quando non scettico, davanti a quelle contro i primi. In Brasile l’impeachment della presidente Dilma Rousseff e l’incarcerazione del suo predecessore, Luis Inácio Lula Da Silva, vengono accolti in silenzio dalla Conferenza episcopale, mentre forte è la reazione di singoli vescovi e organismi pastorali. In Colombia, poi, l’episcopato appoggia il processo di pace tra governo e guerriglie marxiste, senza però schierarsi esplicitamente per il “sì” nel referendum del 2016 sugli accordi tra il presidente Juan Manuel Santos e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), probabilmente inibito dalla vicinanza dei vescovi conservatori all’ex presidente della Repubblica, Alvaro Uribe, contrario all’intesa, e dalla campagna dell’estrema destra religiosa (evangelica e cattolica) che li presenta inficiati dalla “ideologia gender”.



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