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LA CHIESA IN TRINCEA / I PRETI NELLA GRANDE GUERRA

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Nonostante anni fa don Scottà abbia organizzato i convegni I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918 (Edizioni di Storia e Letteratura, 1991) e La conferenza di pace di Parigi tra ieri e domani, 1919-1920 (Rubbettino, 2003), in cui vari contributi riguardavano l’azione del papa e delle Chiese, quest’aspetto ha continuato a essere trascurato dalla storiografia sulla Grande Guerra.

A colmare tale lacuna giunge il presente studio, corredato d’un cospicuo apparato di note e di un’ampia bibliografia, contemporaneamente al quale la Claudiana ha edito quello, affine, di Giorgio Tourn su Le parrocchie delle Valli valdesi nella Grande Guerra. Se finora gli storici si sono interessati quasi solo della nota di Benedetto XV (1 agosto 1917) sulla “inutile strage”, Bignami ha ampliato l’indagine alla Chiesa nel suo complesso, dal Vaticano alle singole Chiese nazionali e dai più noti padre Semeria e padre Gemelli a semplici cappellani e sacerdoti quali Mazzolari, Astori, Carletti, Minzoni, Celso Costantini.

Il conflitto arrivò quando il mondo cattolico italiano, appena uscito dalla crisi modernista, con il patto Gentiloni si stava riavvicinando all’Italia liberale in funzione antisocialista, e, pertanto, costituì un banco di prova per i fedeli e per i loro pastori, perché li costrinse a un’ardua scelta di campo già sul piano teologico. Quell’ecatombe inusitata, che mise in discussione il concetto di “guerra giusta”, teorizzato da Tommaso d’Aquino e perfezionato dai teorici post-tridentini, costringeva la religione tradizionale a confrontarsi con quella nuova della Patria, cui pochi sarebbero stati capaci di resistere, tant’è che s’assistette a forzature incredibili dei Vangeli per giustificare l’adesione a essa. Analizzando diari, corrispondenze e memorie dei sacerdoti mobilitati, articoli della stampa cattolica e omelie dei vescovi, l’autore mostra come il linguaggio religioso si trasfonda in quello della propaganda, che lo utilizza per enfatizzare il sacrificio dei soldati.

Tale fenomeno fu comune ai fedeli di tutti i paesi belligeranti, che, per mostrarsi patrioti quanto gli altri concittadini, a parte rare eccezioni (Miglioli in Italia), aderirono con entusiasmo alle rispettive cause nazionali, facendo fallire l’internazionalismo cattolico, così come erano falliti quelli socialista e massonico.

La nota pontificia del 1917, pertanto, ebbe scarsissima udienza, quando non venne osteggiata, mentre numerosi furono coloro che, richiamandosi alla teologia tradizionale, videro in quella guerra, che costringeva la Chiesa al confronto con la modernità, una punizione divina per la secolarizzazione della società e un’occasione per ricristianizzarla.

L’istituzione dei cappellani militari, voluta dai vertici militari per l’assistenza spirituale alle truppe, fu recepita in tal senso, ed è in essa che s’iscrive l’esperienza delle migliaia di sacerdoti che, vivendo in trincea, si scontrarono con una realtà inimmaginabile nei seminari, in cui erano stati educati alla diffidenza verso il mondo moderno, di cui ora scoprivano tragicità e iniquità, donde in taluni, a fine conflitto, l’abbandono della veste talare, mentre tutti, ivi inclusi gli interventisti, attraversarono crisi di coscienza, ripensando il proprio essere preti, avvicinandosi a quel popolo con cui avevano condiviso l’esperienza della guerra, conclusa la quale dedicandosi esclusivamente, come Mazzolari, alla sua cura.

Rendendosi conto dei pericoli, dal loro punto di vista, d’una così traumatica esperienza, i loro superiori inviarono molti reduci in seminario o in ritiro e agli esercizi spirituali, nel tentativo, non sempre riuscito, di reinserirli negli schemi abituali della prassi ecclesiale, fuori da un rapporto stretto con quella concreta umanità con cui avevano condiviso dolori e sofferenze per più di tre anni.

Che in poco più di 120 pagine si sia affrontata, con linguaggio piano e appassionato, una materia storiograficamente così nuova e importante va a tutto merito dell’autore.



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