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IL PACIFISMO È DAVVERO IN CRISI?

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Un dossier impegnativo, quello curato da Massimo Toschi su questo tema (M.O., aprile 1996), ma pieno di interrogativi interessanti. Ecco perchè invitiamo i lettori a riprenderlo in mano e ad intervenire. Dopo il contributo di A. Degan (M.O., ottobre), interviene nel dibattito A. Cavagna.

E' in crisi il pacifismo confusionario, falso, superficiale e sparpagliato. Si stanno invece rafforzando culture più genuine di pace. E ciò fa ben sperare.


Caro Massimo Toschi,

siamo amici di lunga data e credo che ci possiamo capire.  Nel tuo dossier sulla “crisi del pacifismo” tu critichi, tra altre, anche la mia posizione.  In questa relazione che intendo come dialogo, non pretendo di essere esaustivo. Il problema pace-guerra-nonviolenza è immenso e complesso: il che tuttavia non autorizza ad evitare le scelte ritenute evangeliche, restando nel vago.

CRISI DEL PACIFISMO?

Non affermo la “crisi del pacifismo”, ma metto un punto interrogativo.   Qualcuno si era illuso di risolvere la guerra in Bosnia con una marcia nonviolenta di 500 persone a Sarajevo.  Nel dicembre ‘92, a Velibor Veselinovic, comandante serbo di Ilidza che chiedeva incredulo cosa pensavano di risolvere i 500 pacifisti andando per un giorno a Sarajevo, risposi: “Noi non abbiamo nessuna pretesa o velleità di risolvere  i vostri problemi.  Questi li risolverete voi.  Ma vi diciamo due cose: 1. non li risolverete con la guerra; 2.  vi portiamo una “proposta politica” di soluzione in base ai diritti dell’uomo e dei popoli”.

Già allora cominciammo a costruire ponti sopra le frontiere consegnando un’ambulanza ai serbi e una ai musulmani; continuammo, insieme a tanti altri gruppi, quel lavoro di aiuto materiale e di ricostruzione morale, secondo il criterio della interetnicità.

Ma anche in Italia il pacifismo avanza: la cultura della nonviolenza entra nelle università, aumentano le tesi di laurea sull’argomento, cresce il numero degli obiettori.  Ci sono nuove conquiste giuridiche e politiche, come la possibilità di missioni di pace all’estero (caschi bianchi).

VERSO UNA POLIZIA INTERNAZIONALE

Io sono  per una esclusione assoluta della violenza omicida o dell’uso omicida della forza, e quindi per l’alternativa radicale della difesa popolare nonviolenta per la soluzione delle controversie nazionali e internazionali.  Così pure sono per la eliminazione totale della pena di morte, senza eccezioni o casistiche di sorta, in quanto atto  di violenza omicida. 

Tutto ciò suppone un rovesciamento totale della cultura militare, che pensa di realizzare la pace sociale o internazionale eliminando l’avversario dalla faccia della terra.  Coerentemente sono contro ogni forma di soppressione della vita umana, dall’aborto all’eutanasia, al suicidio.

Ma, da questo a negare ogni uso non omicida della forza, ce ne passa.  Gesù stesso, senza contraddire il principio della nonviolenza (non odiare, amare i nemici, porgere l’altra guancia)  né il divieto degli scontri omicidi (“metti via la spada”) né l’eliminazione della pena di morte (“chi è senza peccato scagli la prima pietra”), ha praticato l’invettiva terribile (Mt 23) e anche la violenza fisica non omicida quando scacciò i mercanti dal tempio a frustate (Gv 2,13-22).

In questo senso non mi sembra contraddittorio per un pacifista che esclude radicalmente ogni ricorso alla violenza omicida e adotta come norma la difesa popolare nonviolenta, fare un discorso complementare di legittima difesa e di uso non omicida della forza, anche armata, come è (o come dovrebbe essere) nel caso di una polizia, sia nazionale che internazionale.  Questa, secondo il generale Bruno Loi, dovrebbe anzi dotarsi di armi intrinsecamente non letali.

Non si tratta, quindi, di prendere l’esercito così com’è e di mandarlo in eufemistiche “missioni di pace” o per “azioni di polizia internazionale”, come chiaramente avvenne per la guerra del Golfo.  Quella, per l’appunto, fu vero guerra; fu chiamata azione di polizia internazionale per aggirare l’ostacolo dell’art. 11 della Costituzione.

I vescovi italiani nel nuovo Catechismo parlano di  trasformazione dell’esercito, per struttura e addestramento, in corpo  di polizia internazionale.    Si richiede una trasformazione radicale.

LA SVOLTA DEL NUOVO CATECHISMO CEI

Ritengo, sulla base di queste premesse, che il nuovo Catechismo degli Adulti della CEI (“La verità vi farà liberi”) al cap. 26 segni una svolta decisiva,  nel magistero cattolico di pace.

In qualche passaggio, il discorso  resta contraddittorio, ma non si può pensare che una dottrina della guerra giusta, antica di 1600 anni, scompaia di colpo, senza far sentire il suo peso d’inerzia storica; e neppure si può pensare che la svolta nonviolenta possa passare indenne in un mondo cattolico ancora in gran parte fermo su una tranquilla cultura militare.

Così  per la pena di morte, il nuovo Catechismo segue la dottrina tradizionale,  ma poi aggiunge: “Oggi l’accresciuta consapevolezza riguardo alla dignità di ogni uomo, ancorché criminale, induce ad abolire questa pena”. E abolisce la pena di morte totalmente e per sempre, con stacco netto.

Similmente il nuovo Catechismo CEI riprende alcuni numeri del “Catechismo della chiesa universale” e del Concilio, dove si parla di legittima difesa, di ingerenza umanitaria  armata, di mirare ai soli bersagli militari, di tollerare a malincuore eventuali danni che direttamente possano derivarne ai civili... Ma, se ben si osserva, le espressioni di difesa anche armata citate non contengono nemmeno una sola legittimazione dell’uso della forza direttamente omicida, interpretabili quindi in riferimento ad azioni di polizia e non ad azioni di guerra.

Ciò mi sembra accreditato dalla portata storica delle espressioni nuove contenute, che val la pena citare, a cominciare dal titolo  “Abolire la guerra” (p. 493); “Si dovrebbe togliere ai singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato tolto ai  privati cittadini e alle comunità intermedie” (p.  493); “Purtroppo oggi la potenza delle armi è così terribilmente distruttiva che ogni conflitto diventa facilmente guerra totale.  Appare pertanto urgente promuovere nell’opinione pubblica il ricorso a forme di difesa nonviolenta.  Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo a un corpo di polizia internazionale” (p.494);  “In questo contesto risalta il significato educativo che può avere la scelta degli obiettori di coscienza di testimoniare il valore della nonviolenza sostituendo il servizio civile a quello militare” (p. 495).

Da notare che queste parti originali e innovative si inquadrano perfettamente nel nuovo diritto internazionale, non quello di Reagan, Bush, Clinton..., ma quello del superamento degli “stati sovrani armati”, di una nuova ONU democratizzata e rafforzata, di abolizione degli eserciti nazionali, di trasformazione dell’esercito in corpo di polizia internazionale (art. 23 della Carta dell’ONU ancora inadempiuto).

Ciò non significa abbandonare la radicalità evangelica, o profezia, per impantanarsi nella politica del compromesso o del potere; il rifiuto della violenza omicida è assoluto e ciò, nelle attuali circostanze, è pura profezia mentre non si disdegna la fatica di ricercarne, insieme con tutte le persone di buona volontà, le vie dell’incarnazione storica.

Questa innovazione è probabilmente debitrice, almeno in parte, del pensiero e dell’azione di tanti cristiani pacifisti.  Vediamo di non essere proprio noi pacifisti di oggi a sottovalutare questa svolta magisteriale di pace.

Condivido l’osservazione di Leandro Rossi: “L’azione politica e quella profetica... non sono contraddittorie, bensì complementari”.

L’una non reca pregiudizio all’altra; anzi, si richiamano reciprocamente e convivono, in ogni persona, sia perché la profezia determina l’impatto politico più formidabile e sia perché la profezia non esime dalla creatività politico-amministrativa; anzi, la stimola.

ANGELO CAVAGNA.


UNA CRISI DI CRESCITA

Più che il pacifismo, sono entrati in crisi i velleitarismi e il genericismo pacifista. I pacifisti radicali sono sempre stati pochi. Semmai, c’è una crisi di crescita del pacifismo: si scoprono le molte vie della pace  (filosofica, giuridica, organizzativa nazionale e internazionale...); ci sono nuove aperture ecclesiali di persone e di pronunciamenti magisteriali.

È importante che la dialettica chiarificatrice tra le varie concezioni pacifiste resti amichevole e disponibile ai mutamenti ragionevoli.  Soprattutto occorre unire le forze sugli obiettivi concreti: nuova legge-obiettori; diminuire  le spese militari e finanziare la pace;  illuminare l’opinione pubblica sulla natura del nuovo modello di difesa.

In sostanza, è in crisi il pacifismo falso, superficiale, confusionario, ingenuo, sparpagliato; ma si rafforzano cultura e movimento più genuini di pace. E ciò fa ben sperare.



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