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I Sapienziali, Missione come Vita in Dialogo

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La rubrica “Parola e missione”, giunta ormai al quarto anno di vita, sarà dedicata nel 2012 ai libri sapienziali della Bibbia. Continuerà a firmare gli articoli Flavio Dalla Vecchia, che l’anno scorso ci ha guidato alla scoperta della missione sulle orme dei Profeti d’Israele.

Il lettore della Bibbia, quando affronta i Sapienziali, avverte immediatamente di trovarsi in un sistema di pensiero diverso da quello dei libri storici e profetici: in alcuni (vedi Proverbi, Giobbe e Qohelet) manca qualsiasi riferimento alla storia di Dio con il popolo d’Israele, in altri si assiste alla messa in campo di temi che intercettano situazioni e preoccupazioni nuove rispetto agli scritti precedenti (vedi Siracide e Sapienza). L’insieme di questi testi appare, già ad un primo sguardo, come un regno a parte, aperto all’ingresso di elementi importati e da esportare.


LA SAPIENZA DEL CIELO

L’appellativo sapienziali dice riferimento alla sapienza, che è pure un attributo di Dio: in Pr 8,22-31, in Sir 24, in Sap 7-9 si proclama che essa è fin dall’inizio accanto al creatore dell’universo, che da Lui discende a tutti gli umani e caratterizza la stessa creazione di Dio (come si afferma in Pr 3,19-20 e nel Sal 104,24). Nel Primo libro dei Re (3,4-15) si racconta inoltre che Dio concesse al re Salomone la sapienza affinché governasse il suo popolo con giustizia ed equità; proprio questo episodio sta alla base della attribuzione a Salomone dei principali scritti sapienziali ebraici. Ciò porterebbe a concludere che la sapienza rappresenti l’esito di una speciale azione di Dio nei confronti di Israele. Lo studio dei libri rivela però che la strada battuta da Israele non è stata questa; tutto questo è semmai il risultato finale di un lungo cammino.

PARTECIPATA A TUTTI I POPOLI

Per cogliere adeguatamente il fenomeno descritto come sapienza in Israele, è necessario inserirlo nel contesto più ampio del mondo in cui è sorto. Israele, un popolo piccolo e insignificante dal lato politico, si è insediato in un’area geografica caratterizzata da ricchi scambi commerciali e culturali; inoltre i grandi imperi dell’antichità hanno dominato alternativamente la regione palestinese: l’Egitto e gli imperi Mesopotamici in un primo tempo, ma in seguito i Persiani, i Greci, i Romani.

Il Vicino Oriente antico è dunque l’ambiente culturale di riferimento per comprendere i libri sapienziali, che sono giunti a noi come il frutto maturo di una riflessione durata per millenni. Israele non ha inventato la sapienza ed essa è assai più antica di Israele. Testimonianze di una letteratura affine a quella biblica ci sono giunte sia dall’Egitto sia dalla Mesopotamia, a partire dal III millennio a.C.

Le civiltà del Vicino Oriente ebbero i propri centri di cultura: la corte e i grandi santuari, con annesse scuole di scribi furono le fucine della cultura di quella regione. Tutta la loro produzione letteraria influì sulla sapienza israelitica.

PER UNA VITA GIUSTA

Quale obiettivo si propone la riflessione sapienziale? Con un’espressione sintetica, si potrebbe affermare che si propone come ausilio a padroneggiare la vita, cioè a individuare quei percorsi e quelle scelte che hanno esito positivo e che conducono a una vita riuscita e non fallimentare.

Il saggio si manifesta in primo luogo come acuto osservatore dell’esperienza umana la quale rappresenta il punto di partenza del suo insegnamento.

Egli comincia le sue osservazioni dalle cose più immediate, come il lavoro umano e la sua ricompensa (cfr. Pr 10,4.16). Si occupa del significato del potere (Pr 13,23), indaga sul problema dei rapporti tra gli umani (Pr 12,4), sui principi relativi all’onesto e al disonesto (Pr 11,5-6), alla verità e alla menzogna (Pr 13,5), all’agire giusto e ingiusto (Pr 14,8-25). In tal modo l’essere umano coglie i fatti e li fissa in elenchi ed espressioni. “Fissare” in tal caso può addirittura essere preso in senso letterale: ciò che tende a sfuggire, ciò che appare in continuo movimento ed è inafferrabile (cfr. Qo 1,4-9), è fermato, preso, fissato.

UNA STRADA PIÙ CHE UNA LEGGE

Sulla base di queste osservazioni, il saggio passa poi a consigliare o ammonire il proprio alunno o discepolo. Il saggio manifesta ora al discepolo quanto ha ricavato dalla sua osservazione e rende udibile, in forma di ammonimento o di esortazione, in che modo il giovane possa agire da saggio in conseguenza della constatazione fatta e che cosa debba effettivamente fare (cfr. Pr 22,17- 24,5).

La proposta del saggio si presenta come un’offerta: non si tratta di una legge o di un ordine, perché si pretende di offrire qualcosa che ha valore, che avvantaggia chi lo riceve. Non vi è, infatti, punizione per questo; in tal caso la punizione consiste nel non accogliere questa offerta e quindi nel rimanere privi di uno strumento prezioso per costruire la propria esistenza. Questo spiega perché la voce della sapienza è quella della regina che invita al suo banchetto (cfr. Pr 9,1-5), oppure della sposa che sa ben condurre la propria casa (cfr. Pr 31,10- 31), ma chiarisce anche gli espedienti usati nell’insegnamento dei saggi. Due in particolare sono particolarmente illuminanti: l’immagine della strada (cfr. Pr 1,15; 4,10-19.20-27) e i detti di comparazione (“è preferibile questo a quello”, cfr. Qo 7,1-14).

Mentre il profeta, che si riferisce al codice dell’alleanza, dice: “uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te” (Michea 6,8), la sapienza escogita la forma del detto di comparazione, dove si esige che ognuno ponderi le proprie esperienze, le confronti e da tale confronto ricavi quale cammino consenta la piena attuazione della propria esistenza.

Dalla lettura di questi libri si può ricavare tra l’altro una riflessione sull’uso del linguaggio, che intercetta anche l’ambito della comunicazione della fede.

La comunicazione può infatti fare uso di slogan, così come mostra il libro dei Proverbi allorché mette in bocca alla Donna Follia un detto popolare con il quale intende sedurre l’ingenuo: “le acque rubate sono dolci, il pane segreto è saporito” (9,17). Un proverbio o uno slogan possono essere manipolati; come illustra l’uso che ne fa Donna Follia, nonostante l’apparente consenso che intendono esprimere, essi sono usati in taluni casi puramente per riuscire a convincere, piuttosto che a penetrare a fondo qualcosa, a ribadire e chiudere un’argomentazione e non a proseguire o provocarne un’altra. Questo spiega l’uso che anche oggi si fa dei proverbi nella pubblicità o nella propaganda. I saggi contrastano appunto una simile eventualità. Un efficace esempio si può trovare nei detti contrapposti di Pr 26,4-5:

  • Non rispondere allo stolto quando dice idiozie,
  • per non ridurti anche tu al suo livello.
  • Rispondi allo stolto quando dice idiozie,
  • perché non si reputi saggio.

Con tale opposizione si mostra che non basta corrispondere a una norma; è invece richiesto di ponderare il tempo e l’opportunità di una condotta determinata; i due detti accostati si presentano come contraddittori, ma se visti in funzione dell’agire essi hanno lo scopo di indurre a valutare la situazione in cui ci si imbatte, non semplicemente di proporre una norma per l’agire.

PER UNA VITA SEMPRE IN DIALOGO

Si manifesta qui un’attitudine nei confronti dell’esperienza: non è solo il richiamo a una sapienza antica e neppure l’enunciazione di un tipo di condotta da assumere, ma l’espressione della consapevolezza della complessità (e talvolta della contraddittorietà) della realtà, che porta a individuare delle linee di condotta, le quali non si fondano su un’autorità che le giustifica, ma sulla condivisione della valutazione dell’esperienza.

Chi accoglie l’insegnamento sapienziale apprende questa attitudine e si impegna a vivere il dialogo con chi gli è posto accanto – anche con coloro che seguono traiettorie di pensiero o tradizioni religiose diverse – per scoprire insieme quelle indicazioni che consentono di rendere la strada di ciascuno come quella dei giusti, che “come la luce dell’alba, aumenta lo splendore fino al meriggio” (Pr 4,18).



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