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GIUDITTA FIGURA DELLA MISSIONE AL FEMMINILE

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Il libro di Giuditta narra come una devota giudea fu in grado di debellare una grave minaccia che incombeva sulla sua città situata nel cuore della Palestina: gli Assiri, capeggiati da Oloferne, avevano posto l’assedio a Betulia, ma Giuditta riuscì a farsi accogliere nel loro accampamento e alla fine a uccidere il generale nemico.

Il racconto inizia con la presentazione di Nabucodonosor, il quale convocò tutti i popoli del Vicino Oriente antico per muovere guerra ad Arpacsad, re dei Medi. In un primo tempo le nazioni occidentali “non ebbero alcun timore” di Nabucodonosor (1,11), perciò non risposero al suo appello. Dopo aver sconfitto il re dei Medi, Nabucodonor decise perciò di punire le nazioni ribelli e ben presto il suo esercito, capeggiato da Oloferne, seminò “paura e terrore” fra quelle popolazioni (2,28).

IN UNA CITTÀ ASSEDIATA

Quando l'esercito di Nabucodonosor giunge a Betulia, anche i Giudei “furono presi da indescrivibile terrore” (4,2). L'opposizione diventa più radicale. Se all'inizio il conflitto era tra esseri umani, a un certo punto dietro un apparente evento militare fa capolino una deliberata intenzione religiosa: la campagna militare aveva come obiettivo che “tutti i popoli adorassero solo Nabucodonosor e lo acclamassero come dio” (3,8). Il conflitto quindi si radicalizza, mostrando che intende toccare le autentiche forze che muovono la storia.

Lo scontro è tra divinità, ma lo scenario è la vicenda umana, attraverso i rappresentanti (“servi”, cfr. 6,3) di queste divinità: l'inviato del dio assiro è un condottiero arrogante, feroce, ma soprattutto potente, mentre i “servi” del Dio d'Israele sono un piccolo popolo, privo di esercito, con capi inclini al compromesso e ora in preda al terrore. Lo scontro sul potere in ultima analisi mostra che la posta in gioco riguarda chi è il vero dio.

UNA DONNA INERME

La seconda parte prende avvio dalla prova cui i capi della città sottopongono Dio, un atto giudicato empio dall'eroina del libro (cfr. 8,11-13) e che mostra la loro incapacità di comprendere il senso degli eventi: non è Dio che è messo alla prova nella distretta, ma il popolo (cfr. 8,25-26). Dinanzi alla prova, per Giuditta, va riconfermata la fiducia nell'intervento divino, ma non in chiave fatalistica. Invece di rimanere inerte, lei si pone, infatti, in prima linea nella mischia.

Non invoca un intervento soprannaturale (come i capi) e confida invece nell'assistenza divina, sfruttando le doti di cui Dio l'ha fornita: bellezza e saggezza. Gli uomini – maschi – vedono nella sua bellezza una preda per le loro bramosie. Giuditta se ne serve invece per sottometterli alla sua strategia vittoriosa. In effetti, nessuno esce indenne dall'incontro con lei, né i capi del popolo, né i soldati assiri che, pensando di usarla come bottino per il generale, le consentono di accedere direttamente all'obiettivo che si è prefissata, né Oloferne che sfodera tutte le arti della seduzione, ma rimane vittima delle sue stesse macchinazioni.

ROMPE L’ASSEDIO

La scelta di un eroe femminile come soggetto di una vicenda bellica, in un racconto originatosi in una cultura che tendeva a relegare la donna entro l'ambito familiare e sotto un certo profilo a comprenderla puramente come appendice dell'uomo (maschio), è di per se stesso un messaggio. Dio non dispiega la sua forza schierando imponenti eserciti, né ponendo a capo del suo popolo energici condottieri, ma neppure usa espedienti miracolistici. In Giuditta l'agire di Dio si manifesta in ciò di cui l'essere umano non è in grado di comprendere l'efficacia e soprattutto in un essere ritenuto bisognoso di protezione (cfr. 11,1-4).

Nel racconto Giuditta è sempre rappresentata come superiore agli uomini con cui ha a che fare: i capi non sanno che pesci pigliare di fronte all'assedio, lei invece prende l'iniziativa; a salvare Betulia sono lei e la sua serva, non gli uomini armati della città.

CON SAGGEZZA FEMMINILE

La moralità della strategia usata da Giuditta lascia un poco perplesso il lettore, soprattutto l'insistenza, che lei stessa rimarca, sull'inganno e sulla sua capacità di seduzione. Il narratore invece valorizza tale scelta: Giuditta ha saputo scegliere le armi a sua disposizione per colpire il lato debole dei suoi avversari; gioca una partita sapendo che su questo terreno il nemico è attaccabile: in tal modo ridicolizza un intero esercito e umilia il suo comandante.

Si deve notare inoltre che quasi tutti i passi in cui l'eroina mette in atto il suo stratagemma hanno una connotazione ironica.

Più che l'inganno, a risaltare è la saggezza di questa donna, che in questo caso significa scaltrezza, abilità, tatticismo; saggezza che si manifesta nella scelta dell'arma con cui affrontare un nemico che si crede forte, ma che in realtà è costretto a capitolare da una donna che si serve abilmente delle doti femminili.

ESEMPIO DELLA MISSIONE DI DIO

Con la sua impresa Giuditta ha inteso inoltre preservare il tempio dalla contaminazione che l'elemento pagano avrebbe potuto introdurvi (cfr. 8,21-22): importante a tale proposito è il riferimento alla violenza fatta a Dina (cfr. Gen 34) nella sua preghiera, poiché riprende le immagini profetiche che presentano Israele e Gerusalemme come la vergine sposa di YHWH (9,2).

Qui è una donna che rifiuta ogni contaminazione a superare il dramma: la prova è superata solo dall’adesione fiduciosa e fattiva al Signore della storia.

All'epoca della composizione del libro il tempio di Gerusalemme rappresenta un simbolo fondamentale per tutti gli ebrei: un popolo disperso sulla terra trovava tuttavia la sua unità nell'osservanza della legge e nel riferimento all'unico luogo scelto da Dio per dimorare tra gli uomini. Giuditta mostra che la posta in gioco è assai più elevata della semplice sopravvivenza di una città, di una nazione o di un popolo: la posta in gioco è la negazione di Dio, l'apostasia da lui, l'aderire a un nuovo signore e padrone (8,18-20). Questo è il rischio che corre ogni generazione di figli d'Israele quando il potere dominante è straniero, si vive in mezzo a popolazioni con usi e costumi diversi e non di rado l'essere minoranza etnica rende difficile rimanere fedeli alla Torah, o addirittura impedisce.

La vicenda di Giuditta diventa perciò esemplare: chi conta sulla forza bruta non prevale, chi dispiega un esercito potente non risulta necessariamente vittorioso

Invece la perseveranza e il coraggio intelligente e fedele di una donna hanno prevalso sullo stupido vanto di uomini potenti.

CHE PARTE DALL’UMANITÀ DEBOLE

Il libro di Giuditta si presenta anche come rivisitazione dell'Esodo: il popolo in balia di un potere straniero, un potente che si oppone al potere di Dio. Anche in quest'ora Dio parte da un'umanità debole, sfiduciata, smarrita e le consente di trovare una guida sicura e coraggiosa.

Ciò che rende Giuditta guida autentica è tuttavia la sua fede incrollabile: come Mosè, anche lei nel momento della disperazione esorta il suo popolo a confidare in Dio (cfr. 8,17 con Es 14,13-14).

PER LIBERARE IL SUO POPOLO

Facendo di una donna lo strumento umano scelto da Dio per liberare il suo popolo, l'autore riprende la tradizione di Debora e Giaele (cfr. Gdc 4-5), ma ne accentua ulteriormente la rilevanza. Qui, come mostra il nome stesso dell'eroina (Giuditta significa “giudea”), la donna stessa è identificata con la causa del suo popolo: ella come il popolo porta i segni della vedovanza (cfr. Lm 1,1); come il popolo corre il rischio di essere contaminata (9,8) e come quello è apparentemente inerme di fronte al nemico.

Quale simbolo, tuttavia Giuditta mostra al suo popolo il cammino che la fede in Dio richiede di intraprendere:

vivere una relazione di profonda dedizione a Dio, nel rispetto delle pratiche religiose (preghiera, digiuno, penitenza), e abbandonarsi con fiducia al volere divino, senza voler "ipotecare" i suoi piani (8,16).

In tal modo il popolo non si lascerà abbattere dagli eventi, né sprofonderà in una sorta di vittimismo, ma diventerà protagonista della vicenda storica, attraverso la forza generata in lui dalla fede nell'unico Dio e Signore della storia.

Il libro di Giuditta narra come una devota giudea fu in grado di debellare una grave minaccia che incombeva sulla sua città situata nel cuore della Palestina: gli Assiri, capeggiati da Oloferne, avevano posto l’assedio a Betulia, ma Giuditta riuscì a farsi accogliere nel loro accampamento e alla fine a uccidere il generale nemico. Il racconto inizia con la presentazione di Nabucodonosor, il quale convocò tutti i popoli del Vicino Oriente antico per muovere guerra ad Arpacsad, re dei Medi. In un primo tempo le nazioni occidentali “non ebbero alcun timore” di Nabucodonosor (1,11), perciò non risposero al suo appello. Dopo aver sconfitto il re dei Medi, Nabucodonor decise perciò di punire le nazioni ribelli e ben presto il suo esercito, capeggiato da Oloferne, seminò “paura e terrore” fra...


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