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Congo: la resistenza della gente comune

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Richiamiamo in questo numero l’attenzione sul Congo, dove i padroni di turno, per accaparrarsi le ricchezze del paese, continuano i massacri della gente. Nell’indifferenza generale.

Siamo tornati da poco da Goma. È sempre un’esperienza forte l’incontro con questo popolo, che dà prova di una tenacia non comune nel resistere alle avversità che si abbattono sulla loro regione martoriata. Un popolo fiero nella sua dignitosa miseria; in piedi, pur nella sofferenza per le continue angherie dei padroni di turno e nell’incertezza del domani, perché è sempre incombente il pericolo del vulcano. La sofferenza la si legge sui volti scavati, ma determinati a non lasciarsi abbattere.

Non ci siamo sentiti di dire “coraggio”: perché, ancora una volta, ci insegnano come afferrare il dono della vita e custodirlo.

Percorriamo le strade della città, sulle onde della lava, tra le nuove casupole e le baracche con le pareti di plastica colorata, dove vivono ancora molte famiglie. Vediamo la bandierina segnaletica del vulcano. Il colore è giallo: il vulcano è attivo, ma non c’è pericolo imminente. Incontriamo alcune donne con un carico pesante sulle spalle, trasportano sacchi di carbone. Sono esse il segno più evidente della resistenza nel quotidiano della vita: figli da crescere, procurare cibo, medicine… Come cercare acqua nel deserto.

Un osservatore ha detto: “In Congo si firma la pace e si fa la guerra”. Una cosa è certa, la situazione è critica. Il sangue non ha smesso di scorrere, gli sfollati sono tanti. Il Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite ha denunciato, ancora una volta, militari e politici legati a gruppi finanziari e minerari: tutti hanno interesse che la guerra continui, così possono prolungare il furto delle ricchezze del paese: oro, legname, coltan e diamanti.

Una cosa ci è apparsa chiara: occorre tanta solidarietà, fraternità, da popolo a popolo.

Siamo chiamati a una solidarietà spicciola, da persona a persona, da famiglia a famiglia, da gruppi a gruppi, da movimenti a movimenti; la parola chiave dev’essere “condividere”. Si capisce come gli accordi politici sono lunghi, difficili. Non sappiamo quanto la gente creda ormai a queste firme di pace… sa che sono cose dei grandi: alla gente del popolo restano misere briciole. Sanno che la salvezza devono crearsela loro stessi: al di sopra degli interessi, poco chiari, di spartizioni dei poteri e delle ricchezze del paese.

Per questo occorre tessere e creare una rete di scambi, che a loro dia la certezza di non essere abbandonati e a noi la forza che ci viene dal sentirci fratelli, nel comune destino di lottare per la vita.



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