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C'è ancora posto per la Bibbia? La Parola di Dio e le parole dell'uomo

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È un piacere vedervi qui a questo Convegno. Siete in molti ad aver accolto l'invito. Grazie! Il tema che verrà trattato è molto interessante perché coinvolge la nostra vita e la vita della Chiesa. L'occasione ci è data dal prossimo Sinodo dei vescovi che si terrà a Roma dal 5 al 26 ottobre sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.

"Queste parole che oggi ti dò, ti stiano fisse nel cuore; le ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai" (Dt 6,7). Così diceva Mosè nel Deuteronomio. Troviamo naturale che Dio parli. Pensiamo che sia normale. Non ci meravigliamo, talmente siamo abituati alla ripetizione biblica: "E Dio disse". Nove volte solo nella prima pagina della Genesi. Ma è talmente evidente che Dio parla? Fuori dalla tradizione giudeo-cristiana, gli dei tacciono: "I loro idoli sono d'argento e d'oro", dice il salmista, "costruiti dalla mano dell'uomo, hanno una bocca, ma non parlano" (Sal 134,16).

Nell'islam Dio preferisce dare un libro, il Corano, al profeta, attraverso l'Arcangelo Gabriele e sarà il profeta a parlare nel suo nome. Nel buddismo, non c'è neanche la divinità e non c'è una parola divina. Quanto agli dei e alle dee dell'Olimpo, tra di loro giocano, chiacchierano e litigano mentre gli umani vivono sulla terra e assistono come spettatori alle cose umane.

Nel giudaismo e nel cristianesimo c'è un Dio che parla. È lui che parla per primo, l'uomo è capace solo di rispondere. Questo ha molte conseguenze. Questo Dio che parla è dunque un essere di relazioni, non vuole essere solo. Prende iniziative e ci considera interlocutori a parte intera, liberi e responsabili: parla, ma non ci costringe. Ancora, come tutti quelli che parlano, si rende vulnerabile: lo si può contraddire, rischia anche di ricevere una risposta negativa. Infine, parlando, testimonia una grande fiducia; in realtà ama già, perché non si è inclini a parlare a qualcuno che non si ama. Quando Dio parla, il suo messaggio non è né astratto né concettoso. Ha un linguaggio affettuoso. Indipendentemente dal contenuto e dalla comunicazione, si stabilisce una relazione. Poi Dio riempie questa alleanza con un contenuto e ce ne mette al corrente.

Dio parla, ma sempre attraverso intermediari, persone come noi. Le "tavole di pietra" erano sue, ma è stato Mosé che le ha portate giù dal monte Sinai e le ha comunicate alle genti. Dio parla attraverso persone in carne e ossa, soprattutto attraverso i profeti. Più tardi si avranno testi e libri. E anche quando esisteranno questi ultimi, sarà la parola proclamata che resterà la vera Parola di Dio. Il libro non è che un promemoria. Non è il libro la Parola di Dio, ma la parola proclamata, anche se è letta a partire del libro. Inoltre la Parola di Dio non manca di contenuto, essa illumina.

Ma al di là di questa dimensione di informazione, la Parola di Dio è sempre piena di performance, opera. In questo differisce dalla nostra parola.

Possiamo noi, è vero, ordinare o domandare qualche cosa, ma non possiamo fare in modo che si realizzi. La Parola di Dio contiene la forza che realizza ciò che essa dice. Non rivela solo il senso di ciò che arriva e di ciò che deve ancora arrivare (questa è la luce), essa fa sì che arrivi (ecco la forza). Indica il cammino e porta la storia alla sua realizzazione. Annuncia l'avvenire e lo produce. La Parola di Dio non si articola sempre in un linguaggio, spesso essa dimora in silenzio, mescolata alle pieghe della storia. È sempre una persona che interpreta la Parola di Dio. Quella è molto di più di un libro, di un testo, anche se sacro. Ci arriva attraverso la voce di persone che sono vive. Sono le persone in genere che sono portaparola, sono queste che svelano il senso e il contenuto. Così personale è la Parola di Dio che essa diventa una Persona: il Verbo incarnato, Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo. Lui è la Parola.

Missione Oggi è da tempo impegnata a far conoscere non solo come questa parola viene inculturata in altre terre, come viene rivestita e spiegata. Ma in modo particolare la rivista è interessata a vedere che effetti ha la parola annunciata  in una cultura, sull'annunciatore e sul destinatario dell'annuncio. Dalle comunità bengalesi a quelle piccole ed ecclesiali del Congo, Missione Oggi ha presentato esperienze e prodigi di liberazione di questa parola annunciata.

Recentemente, ha tentato di intervenire nel dibattito, non solo italiano, su come trasformare una parrocchia in una parrocchia missionaria, e qui intendiamo di primo annuncio. Nella Chiesa attuale abbiamo molti apologeti, numerosi catechisti e teologi. Sono le persone del primo annuncio a mancarci, quelle persone che sanno toccare il cuore e provocare la conversione soprattutto di quelli che non conoscono la buona notizia del Vangelo. L'insegnamento è molto presente, ma non il kerigma (l'annuncio), siamo troppo poco Chiesa missionaria e troppo Chiesa servizio, a disposizione di quelli che già credono.

Non saremmo forse arrivati a un nuovo momento di fondazione della Chiesa? Non è venuto il tempo per una parola più cherigmatica?

La didaché, insegnamento, verrà automaticamente: è già nelle nostre preoccupazioni. Ciò che si nota nella Scrittura, nei Vangeli, negli Atti e nelle grandi Lettere di Paolo, è che vi si parla di una maniera cherigmatica, mentre solo più tardi, nella seconda generazione delle lettere paoline (1 e 2Tm, Ti) e nelle lettere cattoliche, il genere diventa più didattico: si prendono le distanze di fronte alle eresie e ai falsi profeti. Diventa un linguaggio pastorale piuttosto che un linguaggio missionario, un linguaggio apostolico. Il Convegno vorrebbe toccare anche questo: il primo annuncio in una società secolarizzata.

Vorrei pure far notare che il Convegno quest'anno è stato organizzato e coordinato anche da p. Marcello Strogato e da Brunetto Salvarani, direttori rispettivamente del giornale Missionari Saveriani e del mensile CEM Mondialità. Li ringrazio anche a nome della redazione.

Buon ascolto e grazie ancora per essere presenti.



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