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BUDDHISMO E TRANSUMANESIMO / PIÙ DIFFERENZE CHE SIMILITUDINI

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LA SOFFERENZA… 

La sofferenza, secondo il Buddha, sorge dal fuoco della bramosia, cioè dalla sete di piaceri che prende anzitutto la forma di un bisogno di appagamento attraverso gli oggetti dei sensi (come il desiderio di sapori, sensazioni…), e poi dal desiderio di esistenza (che ci spinge verso nuove esperienze) e di inesistenza (negando e respingendo ciò che in noi è spiacevole e indesiderato). Questo profondo stato di malattia esistenziale termina con il raggiungimento del “nirvana” (estinzione o spegnimento), cioè nel momento stesso in cui viene soppresso il triplice fuoco della bramosia, dell’odio e dell’ignoranza che conducono tutti gli esseri umani alla rinascita. Il modo in cui avviene questo passaggio dal “samsara” al “nirvana” viene descritto dal Buddha mediante l’esposizione della quarta nobile verità, cioè quella della “via” costituita da otto fattori che di solito vengono raggruppati nelle tre categorie della moralità (retto eloquio, retto agire, retto modo di sostenersi), della meditazione (retto sforzo, retta concentrazione e retta meditazione) e della saggezza (retta comprensione e retta decisione). La pratica di questi otto fattori, il sentiero che conduce a un’autotrasformazione spirituale, emotiva, intellettuale e morale dell’individuo, è quindi quella via suprema che, portando all’estinzione dell’ignoranza e del desiderio egoistico ed eliminando le cause della sofferenza, permette di realizzare il “nirvana” e interrompere per sempre il processo di rinascita.

… E LA FINE DELLA SOFFERENZA

Il messaggio del Buddha, quella grande intuizione che ebbe mentre stava meditando sotto l’albero del “bodhi” e che ci ha trasmesso, è dunque riassumibile in queste sue parole: “Nel passato come adesso ho spiegato solo questo: la sofferenza e la fine della sofferenza”. E il motivo per cui gli individui non possono mai dirsi pienamente soddisfatti o felici della loro condizione umana, è perché da una parte la loro natura è soggetta all’impermanenza, al decadimento, alla vecchiaia e alla morte – tutti elementi questi che dipendono dai cinque elementi o fattori che costituiscono la loro individualità (il corpo, la sensazione, la cognizione, il carattere e la consapevolezza o “sensienza”, cioè la facoltà mediante la quale sentiamo, percepiamo, siamo consapevoli di noi stessi…); dall’altra perché un’analisi attenta di questi cinque fattori rivela come la natura umana non possegga alcun nucleo centrale, non esista cioè nell’essere umano alcun supposto nocciolo interno, un punto centrale, stabile o immutabile che possa dirsi un “io” o un “sé”. Alla sensazione di “essere un sé” non corrisponde perciò alcuna entità empiricamente riconoscibile: l’ego, o il sé, è solamente una costruzione mentale, un ente concettuale o nominale, non un ente reale. Ciò che trasmigra di vita in vita, ciò che rimane intrappolato nel ciclo di rinascite, non è perciò un’anima immortale, né tantomeno il proprio corpo, quanto piuttosto l’operato dell’individuo, l’influenza e il carico morale delle sue azioni (cioè il risultato del suo “karma”), fino a quando, appunto, non si riuscirà a uscire da questo circolo doloroso mediante l’accesso nel “nirvana”.

IL “NIRVANA”

E il “nirvana”, non viene ottenuto soltanto attraverso la pratica delle virtù del distacco, della benevolenza e della comprensione (cioè con quei comportamenti che sono l’esatto opposto di quelli istigati dal triplice fuoco del desiderio), ma anche attraverso l’esercizio della saggezza, cioè dell’intima comprensione filosofica della condizione umana, dell’apprendimento di quella verità che il Buddha ha intuito nel suo “risveglio” e che poi ha esposto nei suoi sermoni. Ecco perché nei testi antichi, la combinazione di virtù e saggezza è chiamata la cosa più alta del mondo, e i due elementi sono paragonati a due mani che si lavano e si purificano a vicenda.

SIMILITUDINI CON IL TRANSUMAMESIMO

Da quanto succintamente esposto, parrebbe che il buddhismo condivida non pochi punti con il transumanesimo. Oltre al fatto abbastanza lampante che entrambi desiderano liberarci dalla sofferenza, in essi è presente anche l’idea che la nostra natura umana non è l’ultima o la più perfetta condizione a cui ci ha condotto l’evoluzione o il ciclo di rinascite, ma essa deve essere migliorata fino a raggiungere quel livello in cui il soggetto non ritorna più in vita – e questo o perché l’individuo è diventato immortale (come per il transumanesimo) o perché ha raggiunto il “nirvana” (come per il buddhismo). In entrambi vi è poi la consapevolezza che al raggiungimento di questo ideale ultimo della vita umana, il corpo (e le sue funzioni) non è assolutamente più necessario: o perché è stato rimpiazzato da altri supporti artificiali molto più durevoli su cui impiantare i dati del nostro cervello, o perché nel conseguire il “nirvana”, la fiamma del desiderio si è finalmente estinta. In entrambi vi è poi la consapevolezza che non esiste nell’essere umano alcun “sé” reale e fisico, ma che esso può essere ricondotto o al complesso dei dati informatici (a volte definiti anche come “intelligenza non-biologica”), che costituiscono l’identità della persona, o a una semplice convenzione intellettuale, che ci illude che esista un “sé” solo perché erroneamente si ritiene che una certa cosa “appartenga a me”, o che “quello sono io”. 

LA DIFFERENZA PIÙ RADICALE

Tuttavia, le similitudini riscontrate finora non devono farci credere che allora, come ebbe a dire David Pearce (autore di L’imperativo edonistico), “il Buddha avrebbe considerato la medicina genetica come un dono inestimabile, e ci avrebbe esortato ad usarla per il bene di tutti gli esseri senzienti”. Anzitutto perché se gli individui sanno di poter diventare immortali, avrebbero pochi incentivi per comportarsi rettamente e accumulare quel “karma” positivo (i meriti) che consentirebbero loro di raggiungere il “nirvana”. Questo perché il “karma” non è affatto una “bell’idea”, ma una legge universale ed essa agisce comunque sull’individuo. Inoltre, il prolungare la vita di un corpo per un tempo indefinito non avrebbe alcun senso per il buddhismo, dato che lo scopo finale della sua dottrina non è la longevità, bensì l’estinzione di ogni desiderio. Sapere poi che i ritrovati scientifici usati per intervenire e modificare il corpo sarebbero a vantaggio di poche persone abbienti, confligge con la volontà buddhista di liberare “tutti” gli esseri senzienti. Tuttavia, la differenza forse più radicale esistente tra il transumanesimo e il buddhismo consiste nel fatto che per quest’ultimo la vita è degna di essere vissuta solo se l’individuo si sforza di generare la compassione, di coltivare la saggezza, e di raggiungere la buddhità. Se l’esistenza che uno conduce è frivola e trascura di esercitare le virtù e la saggezza, sostiene il buddhismo, a che vale essere vissuta anche se essa durasse per sempre?



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