America latina, Modernizzazione o alternativa sociale?
Nell’ultimo decennio l’ascesa, nella maggioranza dei paesi del continente, di governi non riconducibili alle oligarchie nazionali e in qualche caso legati ai movimenti popolari ha fatto parlare di una “primavera politica” per l’America latina. Essa si è tradotta in una riduzione della tradizionale subordinazione agli Stati Uniti, in una spinta all’integrazione regionale e in politiche economiche più attente ai bisogni del mercato interno e dei ceti sociali medio-bassi.
Questo processo, non privo di contraddizioni, sembra ora dover affrontare soprattutto due nodi: la dialettica fra la volontà di questi Stati di affermare pienamente la propria “sovranità” e l’intenzione di Washington di tutelare i propri interessi economici e geostrategici nell’area, resa manifesta dal golpe in Honduras; il diffondersi di conflitti nel “blocco sociale” su cui si reggono i governi “progressisti”, a causa di modelli economici tecnocratici ed “estrattivisti” che, in nome di uno “sviluppo” dannoso per le culture e l’ambiente, suscitano spesso l’opposizione delle comunità indigene, dei movimenti contadini e dei gruppi ambientalisti.
Sulla capacità di sciogliere questi nodi (oltre a quelli propri di ciascuna esperienza e situazione nazionale) si giocano la continuità o l’interruzione di questo processo nonché il suo approfondimento in termini di innovazione o il suo riassorbimento entro gli schemi del capitalismo neoliberale tuttora dominante.
Il dossier cerca di fare il punto su questo scenario,
sforzandosi di guardarlo dal punto di vista dei poveri, e dedicando uno spazio al modo in cui i settori più aperti delle Chiese possono accompagnare criticamente questa trasformazione.