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NON PRONUNCERAI FALSA TESTIMONIANZA CONTRO IL TUO PROSSIMO

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XIX Giornata per l''approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei.

17 gennaio 2015.

Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo” è il titolo del sussidio che l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEIi ha diffuso in preparazione alla XIX Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (che si celebra il 17 gennaio). Un testo diffuso in concomitanza con due appuntamenti significativi: il convegno dello scorso novembre a Salerno, in cui si è riflettuto sulle prospettive di reincontro tra ebrei e cristiani; il cinquantesimo anniversario della firma del documento conciliare Nostra Aetate. Sono tante le iniziative promosse dalle diocesi e fra le realtà che si occupano di ecumenismo. Anche la Diocesi di Brescia ha programmato un incontro sul tema con il dott. Vittorio Robiati Bendaud (mercoledì 14 gennaio, alle ore 20.45, presso la Sala Bevilacqua di Via Pace 10).

  • Sempre sul tema pubblichiamo qui di seguito il testo del priore di Bose, dal sussidio della CEI (vedi allegato dal sito):

Esodo 20,1.16: Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo!

  • Fr. Enzo Bianchi, priore di Bose

Tutte le culture conoscono l’etica di tre divieti, condizione necessaria in vista della costituzione della persona umana e della società. Il primo divieto è quello dell’omicidio (“Tu non ucciderai!”), il secondo è il divieto dell’incesto, il terzo è il divieto della menzogna. Questi divieti ricordano l’esigenza di affrontare e dominare la pulsione animale che è presente nell’essere umano, pulsione di violenza che arriva a negare l’altro, ad attentare alla sua dignità e alla sua unicità; pulsione di fusione che non vuole riconoscere l’alterità e vuole dominare sul corpo e sul desiderio dell’altro; pulsione di mentire all’altro con la parola, impedendo la vita comune e la fiducia nella parola altrui.

L’impulso di cui si diceva, se non dominato, può portare alla violenza e può portare a quello che, solo apparentemente, è il contrario della violenza: non uccidere l’altro negandolo, ma tornando indietro alla fusionalità dell’incesto. Gettati dal ventre materno nel mondo, non si mette in moto la forza dell’incontro con l’altro e quindi non si prendono le distanze dalla madre, dalla famiglia, dalla patria; e così si rifiuta l’incontro con l’altro, lo straniero, il differente. D’altra parte, gettati dal ventre materno nel mondo, si può anche andare verso l’altro proprio per negarlo, per ucciderlo: ciò che rende l’altro più diverso da me va assolutamente negato, dunque l’altro va ucciso. L’omicidio, il fratricidio significativamente è nelle nostre fibre…

E infine, gettati nel mondo, tra gli altri, ecco la possibilità della menzogna, la cattiva comunicazione, la falsità del dire, la negazione della verità: tutto questo è dovuto al non fidarsi dell’altro! E quando c’è la menzogna, nessuna comunicazione è possibile, ma soprattutto non c’è più possibilità di fiducia e di fede. Anche il libro della Genesi, nel racconto delle origini, cerca di denunciare queste tre derive possibili per ogni uomo che viene al mondo. In questo testo, significativamente, non solo la violenza (il fratricidio, Caino e Abele: cf. Gen 4,1-16), non solo l’incesto (il non accettare la distanza dalla propria famiglia di origine: cf. Gen 2,24; si veda anche l’atteggiamento “incestuoso” di Cam verso il padre Noè: cf. Gen 9,20-27), ma anche la menzogna è protagonista.

Quando si mente, o perché il serpente ispira (cf. Gen 3,13), o perché si sente il bisogno di mettersi contro l’altro (cf. Gen 3.12), la comunicazione è impossibile e, di conseguenza, diventa impossibile fidarsi dell’altro ed entrare in comunione con lui. Ecco i tre attentati alla comunione: nel corpo, nell’agire, nel parlare. Non è un caso che nel Vangelo il demonio sia chiamato “omicida fin da principio … menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44), perché l’incesto impedisce a se stessi e all’altro di essere altro, l’omicidio abolisce l’altro, la menzogna non riconosce l’altro.

Lo dobbiamo confessare: noi sentiamo il desiderio di non essere altri e di non riconoscere gli altri, sentiamo un impulso alla violenza che nega l’altro, e quando parliamo siamo tentati di essere menzogneri, di non fermarci al “’Sì, sì’, ‘No, no’” evangelico (Mt 5,37). Basta che cerchiamo di fare credere all’altro ciò che noi non crediamo; basta che cerchiamo di fuorviare o di manipolare chi ci sta di fronte; basta che cerchiamo di dire ciò che piace a colui al quale stiamo parlando; basta che ci manchi il coraggio di dire ciò che pensiamo: ecco la menzogna! La menzogna, sotto forma di finzione, è soprattutto quella che uccide la fiducia, che indebolisce ogni rapporto.

È un caso che in ebraico verità-sincerità, emet, significhi anche fedeltà? 

Nella Scrittura la fedeltà è la verità sincera, e la verità sincera è sempre fedeltà! La falsità è invece la parola che indica l’idolatria: gli idoli sono “un falso antropologico”, mentre Dio è fedele, “in lui non c’è tenebra” (1Gv 1,5) né menzogna (cf. 1Gv 2,27), e suo Figlio Gesù rimane fedele anche quando noi siamo infedeli (cf. 2Tm 2,13), perché la sua parola è sempre sincera. La sincerità (ei-likríneia, sinceritas: 1Cor 5,8; 2Cor 1,12; 2,17) indica la luce nitida (eíle) che segna la separazione (kríno) della luce dalla tenebra. Così si apre il cammino di comunione: con “un cuore unificato” (Sal 86,11), “un cuore puro” (Sal 51,12; 73,13), un cuore che vigila per non essere diviso o doppio (Sal 12,3), un cuore che ascolta e parla con sincerità, e dunque vive nella verità. Essere sinceri è firmare ogni giorno un patto d’alleanza con l’altro, con gli altri: io sono io, davanti a te!

L’ottava “parola”, il divieto di pronunciare falsa testimonianza non ha allora solo una valenza giudiziaria, ma concerne ogni parola menzognera pronunciata “contro il prossimo”, nel quotidiano delle nostre vite e non solo nelle nostre eventuali e rarissime comparse nelle aule dei tribunali. Purtroppo conosciamo bene le conseguenze disastrose della menzogna, soprattutto nella famiglia e nella comunità, dove l’assiduità dei rapporti, delle parole scambiate, fornisce molte occasioni alla menzogna. Nella vita in comune la menzogna inizia dalla chiacchiera inutile, dal parlare per far tacere la solitudine, oppure dal parlare per apparire all’altro con una maschera, non con il proprio e semplice “essere”.

Tale atteggiamento scivola poi nella mormorazione, il detestabile vizio che è tipico dei vigliacchi e dei pusillanimi.

Questi ultimi possono essere distinti tra coloro che approfittano della mormorazione per creare consenso intorno a sé, alimentando la stima per se stessi attraverso il mostrare di condividere le critiche degli altri, e quelli che invece hanno un io minimo e, mossi da un continuo confronto, non riescono a non accusare gli altri perché sono diversi da loro. Dalla mormorazione si passa poi facilmente alla calunnia, alla maggiorazione dei fatti, a un’interpretazione sviante o che manipola. A questo punto l’omicidio è già avvenuto: la parola menzognera, infatti, uccide…

Eppure basterebbe essere esercitati alla parresía, al dire ciò che è vero con semplicità e retta intenzione. Si commetterebbero ugualmente errori, ma almeno non si consumerebbe la menzogna, e la relazione potrebbe ricominciare di nuovo. Se qualcuno va in collera e urla, l’altro si sente ferito, ma poi la relazione ricomincia, perché comunque la fiducia non è messa in dubbio.

Se invece accade la menzogna, se si dà “falsa testimonianza” è difficile ricominciare: un vaso rotto è sempre rotto, inutilizzabile, anche quando si riattaccassero i cocci!



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