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Scellerata, inaccettabile, scelta di Hamas. Da orrore non può che nascere orrore, da guerra, guerra. Non sarà da una sola goccia di sangue israeliano che sortirà una sola virgola di diritti per i palestinesi.

Non si può credere che quel suono lugubre che si sta diffondendo in Europa, ancora una volta, quel “combatteremo, armati, fino alla vittoria” – applaudito, esaltato, infiammato da capi di stato e di governo – si stia allargando al resto del mondo.

Non si può credere che l’occhio per occhio, dente per dente, sia tornato ad essere il linguaggio e lo strumento col quale risolvere i conflitti ancora aperti nel globo in questo nuovo millennio.

Aung San Suu Kyi affermava, alla fine del secolo scorso, “Non credo nella lotta armata perché confermerebbe la tradizione secondo cui il potere è nelle mani di chi usa meglio le armi. Anche se il movimento democratico dovesse affermarsi con la forza delle armi, la gente continuerebbe a pensare che alla fine vince sempre il più forte. E questo non favorirebbe la democrazia”.

E ancora: “Io sono molto pragmatica. (…) Se si vuole la democrazia, bisogna incarnarne ì principi; bisogna essere coerenti in politica. Se si vuole cambiare un sistema in cui la forza è lecita, allora devi dimostrare che il lecito è forza. Non si può utilizzare la forza per affermare ciò che si ritiene lecito e poi insistere che il lecito è la forza. Non si inganna la gente in questa maniera”.*

Ragionamenti lucidissimi, inequivocabili. Quali sono i principi che vogliamo “incarnare”?

Come non comprendere che, per questa via, in ogni area di crisi, ma anche per ogni, qualsivoglia, conflitto si legittima – per chiunque, dal suo punto di vista! – che la forza, quella delle armi, della violenza, della sopraffazione, è il “giusto” metro per regolare le ragioni e i torti.

Non si può credere che alle prossime generazioni, per questa via, potremo consegnare solo un futuro di distruzione, di brutalità, intessuto della più profonda disumanità.

Quegli ostaggi, quegli uomini e quelle donne, presi da Hamas come stracci, come rifiuti, come pezzi di scarto inanimati, sono lo specchio del futuro che costoro prospettano. Così come lo sono, da decenni, le brutalità, le discriminazioni, le umiliazioni, le violenze subite dai palestinesi. 

Hamas dovrebbe rilasciare gli ostaggi immediatamente, garantendo della loro assoluta incolumità. Il governo israeliano dovrebbe abolire immediatamente tutte le restrizioni e le pratiche discriminatorie nei confronti dei palestinesi e rilasciare tutte le persone fermate, o arrestate, da anni, arbitrariamente. Infine tutti dovrebbero deporre oggi stesso le armi e aprirsi a una strada di dialogo, di confronto rispettoso, principalmente dei diritti umani e civili di ogni persona che calchi quel lembo di Medio Oriente.

L’ONU potrebbe riprendere quel ruolo di terzietà picconato da più parti, malamente, da decenni, e trovare i canali e le formule perché questa strada possa aprirsi. Dovrebbe infine favorire, con la più robusta convinzione, un percorso di verità e riconciliazione in tutta quella fascia di Mediterraneo.

Quest’anno è il trentennale del Nobel per la Pace assegnato a Mandela e a de Klerk, forse più che quello assegnato l’anno successivo a Rabin, Peres e Arafat potrebbe aiutare. Per la scelta di abbattere l’apartheid, per la decisione di abbandonare la lotta armata in luogo dell’azione nonviolenta.

L’altra sola strada è: sangue, terrore e morte per tutti, fino alla catastrofe definitiva.

*le citazioni sono a pag. 34, e pag 122 di, “Aung San Suu Kyi in conversazione con Alan Clements, La mia Birmania”. 2008, Casa Editrice Corbaccio s.r.l., Milano.


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