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I PRIMI TRE MESI DI LIBERTÀ DI PADRE PIERLUIGI MACCALLI

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Rapito da sconosciuti il 17 settembre scorso e ancora nelle mani di chi l’ha venduto per una causa perduta fin dall’inizio. Fare soldi e contribuire a creare sconcerto e paura nel cuore delle fragili comunità cristiane intessute di sabbia e di cielo. Pierluigi Maccalli non è mai stato libero come adesso, proprio ora che non ha più potere sul tempo, le mani e le parole. Libero nelle mani dell’Altro che come lui si è fatto schiavo, diventando come sabbia nelle mani umane, Lui, il Dio fatto sabbia fin dall’inizio del tempo. Tutto era scritto da sempre. Pierluigi lo diceva sempre. Che in una missione bisogna “durare”, e in particolare in quel pezzo di savana che l’ha sedotto e poi abbandonato al suo destino. Senza volerlo hanno messo in pratica il suo desiderio.

Non c’è libertà più grande che dare la vita senza deciderne le modalità e senza sapere per chi. Tre mesi nella sabbia, l’altro utero che custodisce  la prigionia offre l’occasione di nascere quanto occorre per risorgere. Nelle comunità cattoliche della diocesi di Niamey oggi non si celebra la messa. Ci si unisce a quella che Pierluigi celebra ininterrottamente dal 17 settembre, alle 21.30 di un lunedì come quello di oggi. Stessa polvere e stesso vento libero.  Per solidarietà, per stoltezza e per pudore non c’è nessuna eucarestia nelle chiese di questa porzione di Chiesa. Perchè la messa di Pierluigi ora è diversa, unica e irripetibile: una messa di sabbia e di silenzio. Ultima e definitiva celebrazione della libertà, che solo dall’obbedienza ai legami diventa reale. Sono i legami che liberano la storia ed è solo la loro assenza che crea la prigionia di cui è vittima Pierluigi.

Noi fuori. Orgogliosi gregari liberi di movimento e di parola. Giusto per illuderci nei nostri piedi e nelle nostre mani. Mai come le sue, inchiodate alla croce di sabbia che fin dall’inizio ha cominciato a scavare nel silenzio della prigionia che arriva come una conferma della sua vita. Noi fuori e consenzienti servi, mani bucate che poco sanno custodire del mistero della sofferenza affidato alla fragilità umana. Almeno sapessimo imparare il gusto amaro della libertà che solo dalla sabbia può germogliare. Invece no. Andiamo impauriti dalla vita che tra le mani scorre come non sapesse dove andare a ripararsi. Lui non ha più nulla da perdere. Le sue ore sono libere come quelle di Cristo nel Getzemani sotto Natale.



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