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CONGO RD / DIFFICOLTÀ DEI CAPI RELIGIOSI E IMPEGNO DELLA SOCIETÀ CIVILE

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Nei giorni 8-9 giugno 2020, i rappresentanti delle confessioni religiose del Congo RD – sono otto quelle riconosciute dallo Stato: cattolici, protestanti, ortodossi, musulmani, salutisti, kimbanghisti, Chiese del risveglio e Chiese indipendenti –, si sono incontrati, su richiesta della presidente dell’Assemblea nazionale, Jeannine Madunda, per esprimere un candidato comune alla Ceni (Commissione elettorale nazionale indipendente). Moderatore dell’incontro è stato il cardinale di Kinshasa, Fridolin Mbongo. Sebbene sia un diritto costituzionale,  non è mai stato facile trovare un consenso unanime su un nome da parte delle confessioni religiose. La Ceni è composta di tredici membri, di cui tre della società civile: delle confessioni religiose, delle organizzazioni femminili di difesa dei diritti della donna, delle organizzazioni di educazione civica ed elettorale. Dai 24 candidati proposti all’inizio si è arrivati ad una rosa di sei, poi di tre: il candidato della Chiesa cattolica, Cyrille Ebotoko, responsabile del programma di educazione civica ed elettorale della Commissione Giustizia e Pace della Cenco (Conferenza episcopale nazionale del Congo) e dell’elaborazione dei risultati delle elezioni del 30 dicembre 2018 nonché nipote del cardinale; il candidato dell’Ecc (Chiesa di Cristo in Congo), Remy Eyale, formatore di educazione civica e di governance elettorale, candidato alle ultime elezioni legislative in un partito di opposizione; il candidato dei kimbanghisti e delle altre 5 confessioni religiose, Ronsard Malonda, attuale segretario esecutivo della Ceni e responsabile degli aspetti tecnici dell’insieme del processo elettorale. 

Dopo l’analisi dei profili, i responsabili delle confessioni religiose si sono divisi: da una parte la Cenco e l’Ecc d’accordo sul candidato cattolico Cyrille Ebotoko, mentre le altre sei confessioni religiose attorno al nome di Ronsard Malonda. Per motivi diversi, finora non è stato possibile un consenso unanime. Il candidato cattolico, perché membro della famiglia del cardinale; il candidato protestante, perché membro di un partito di opposizione; il candidato delle altre “sei” confessioni, perché membro della Ceni uscente, fortemente sospettata dalla Cenco e dall’Ecc di aver manipolato i risultati elettorali. Davanti a questo stallo, il cardinale, come moderatore, piuttosto che andare al voto, ha sospeso l’incontro sperando di arrivare a una scelta consensuale nei prossimi giorni, ritirando il suo candidato. 

Il 10 giugno il cardinale di Kinshasa, Fridolin Ambongo, e il presidente dell’Ecc, il pastore André Bokundoa, hanno spiegato in un comunicato le motivazioni del mancato accordo: l’intransigenza degli uni e degli altri e le accuse di corruzione. Infatti, sui giornali e sui social, si è gridato al tribalismo e alla corruzione, accusando gli “uomini di Dio” di riunirsi di nascosto, sotto la pressione del Parlamento, che è nelle mani di Kabila, senza informare la popolazione. Inoltre, si chiedeva di procedure con più trasparenza e partecipazione pubblica, scegliendo candidati integri, non corrotti. La popolazione spera, infatti, in un cambiamento radicale dei membri della Ceni, considerata responsabile del broglio elettorale e di aver ignorato la volontà popolare. È su questo orizzonte che il Clc (Comitato laico di coordinamento), espressione del mondo cattolico, che aveva organizzato nel 2017 e 2018 le marce di protesta contro il regime dell’ex presidente Kabila, ha comunicato che non accetterà mai un membro della squadra del presidente uscente alla testa della Ceni. “Questa squadra – ha dichiarato Isidore Ndaywel, coordinatore nazionale del Clc – è stata oggetto di sanzioni internazionali per ostacoli al processo elettorale, opacità nelle procedure e gravi sospetti di arricchimenti illeciti…”. Ndaywel denuncia che “è semplicemente indecente mettere alla testa della Ceni un’altra pedina della manipolazione delle elezioni, che ha ignorato il voto del popolo”.  

In questo momento la società civile del Congo RD è particolarmente attenta e attiva nell’esigere trasparenza da parte delle istituzioni, giustizia per il popolo, equità nella distribuzione delle risorse. Diverse organizzazioni si sono raggruppate nella piattaforma “Il Congo non è in vendita”. L’ultima iniziativa di questa piattaforma riguarda la richiesta di spiegazioni circa il prezzo del passaporto congolese, uno dei più cari al mondo. Dove vanno a finire i 185 dollari del suo costo, quando nelle casse dello Stato entrano solo 60 dei 185 richiesti per ottenerlo? L’Odep (Osservatorio della spesa pubblica), altra organizzazione della società civile che monitora le spese dello Stato, nella sua ultima iniziativa avrebbe raccolto informazioni su malversazioni di circa 3 milioni di dollari del Consiglio nazionale che dovrebbe assicurare l’applicazione degli accordi di San Silvestro, mai applicati da Kabila. Nelle regioni minerarie, undici organizzazioni della società civile e internazionali, tra cui Amnesty international e Human Rights Watch, interpellano le società minerarie circa il lavoro forzato richiesto ai minatori che in tempo di Covid-19 devono restare sui siti di estrazione 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sotto minaccia di essere licenziati, vivendo in condizioni insalubri. Anche nel settore ambientale, organizzazioni della società civile appoggiate da Greenpeace Afrique denunciano il continuo sfruttamento delle foreste del bacino fluviale del Congo RD violando la moratoria sull’attribuzione di nuovi titoli di sfruttamento forestale. Le accuse sono rivolte al governo che avrebbe accordato nuove licenze di sfruttamento a società cinesi. 

Tutti esempi che mostrano il desiderio di riscatto di molti rappresentanti della popolazione per una conduzione della cosa pubblica trasparente, giusta ed equa che permetta di far percepire una presenza delle istituzioni dello stato in favore dei suoi cittadini cercando di migliorare le condizioni di vita della popolazione che vive al 76 per cento sotto la soglia di povertà.



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