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PER UN NUOVO PROGETTO DELL’UMANITÀ

PER UN NUOVO PROGETTO DELL’UMANITÀ

RIFLESSIONE SULL'ALTERITÀ

Uno sconosciuto ha bussato alla porta e ha interrotto il mio lavoro. Io gli ho fatto perdere qualche illusione, ma lui mi ha fatto entrare nelle sue cose e nelle sue difficoltà, turbando la mia buona coscienza. Il disturbo ha come esito una conciliazione, la costituzione di un nuovo ordine, più vasto, più vicino all'ordine globale […] [1]

INTRODUZIONE

In questi giorni siamo molto toccati dalle informazioni che ci vengono presentate dalle radio e dalla televisione; il mondo sembra essere stato contaminato da un virus che continua a devastare le persone di tutte le diverse età e che produce le guerre che vediamo qua e là, i conflitti di identità, l'odio tribale, il terrorismo e altri mali che rendono i rapporti interpersonali difficili. «Il nemico dell'Africa sono gli africani; gli Algerini macellano gli algerini; i Somali fucilano i somali; i Ruandesi massacrano i ruandesi; i Burundesi tagliano i burundesi; i Congolesi uccidono i congolesi; gli Angolani bruciano gli Angolani [2]» cantava A. Blondy.

Nonostante queste difficoltà, l'uomo rimane l'unica incognita e, contemporaneamente, l'unico in grado di spiegare le imperfezioni dell'umanità, di cercare possibili miglioramenti. L'uomo, infatti, è in grado di rapportarsi con il reale e con il trascendente; di fronte a ciò che rompe l'armonia universale, l'uomo è l'unico essere capace di relazione. È così che il problema della alterità resta una delle preoccupazioni che interessa tante persone oggi. Può essere definito come ciò che è o si presenta come «altro», cioè come diverso, come non identico.

L’alterità potrebbe avere parecchie facce nel rapporto umano. Talvolta è una faccia individuale o collettiva e talvolta si presenta anche in forma anonima.

Essa è concepita come il significato stesso dell'essere umano; non nasce dalla relazione intersoggettiva in cui il sé prevale sull'altro, ma vive in prossimità.

Si dice sempre di più oggi che il mondo è un villaggio, tuttavia in questo strano villaggio le persone si ignorano e ignorano anche se stessi. Invasi dal dubbio e dalla diffidenza, ci guardiamo l'un l'altro come uno specchio negativo, anche se è la differenza che ci definisce, ci identifica e ci rassicura, senza eliminare le nostre paure e le nostre peculiarità.

Al di là delle nostre differenze, delle nostre peculiarità, ogni essere umano è costituito dalle sue relazioni con altri esseri umani, quindi l'uomo è un essere dedicato alla alterità poiché è relazionale. L’altro incontrato nella reciprocità non è un ostacolo ma uno specchio in cui ci si può riconoscere e valutare.

Si pone allora una domanda: perché, in quanto uomini, vogliamo la presenza dell’altro?

Roger Garaudy, nel suo libro “Parole d’homme”, accenna qualcosa sull’uomo. Da solo l’uomo, abbandonato in una società deserta, non cerca di abbellire né il suo rifugio né se stesso, ma dal momento in cui ci si ritrova con gli altri, gli viene in mente di non esserci da solo (per sé stesso), ma con altri. L'umanità non è dunque un'avventura solitaria, si tratta di una conquista comunitaria.

Se l'uomo non è in grado di stare in piedi da solo, allora l’altro diventa importante. Da qui nasce la necessità di relazionarsi con l’altro, di dialogare, di unirsi, quindi l’alterità diventa un modo per incontrarsi a vicenda.

DELL'INTERSOGGETTIVITÀUMANA

Ogni volta che l’uomo si pone la domanda: “Chi sono?”, si interroga per cercare di conoscersi e di capirsi. Noi sappiamo che ogni uomo è necessariamente un membro di una società di uomini, tuttavia, la vita odierna ci presenta una realtà diversa: la maggior parte degli uomini sono convinti che non possono aspettarsi nulla dagli altri[3], così la solitudine diventa una cosa normale. Alcuni dicono che l'uomo, prima del suo incontro con la civiltà e la cultura, era ancora buono ed è stato solo incontrandosi con gli altri che il suo comportamento è cambiato.

Dicono ancora che la solitudine può essere un modo per vivere pacificamente, per cui il semplice fatto che gli uomini sono uniti risulterebbe sbagliato.

Ora non c'è nulla di più pericoloso che di vivere da soli. «Il merito più grande è quello di scoprire l'altro e Altro [4]», per immaginare che il centro di tutto non è l’uomo, ma è l’uomo tra gli uomini. Vivere questa dimensione significa scoprire i propri limiti ed escludere ogni forma di particolarismo (razza, credenza, origine, identità), anzi diciamo che l’unico fatto di “vivere” si identifica con l’essere tra gli altri. Ciò è una realtà che incontriamo ogni giorno: nei nostri luoghi di lavoro, a scuola, lungo la strada ci rendiamo conto che non siamo da soli ma siamo con e tra gli altri (inter homines esse).

La coesistenza diventa perfetta se «tutti si rendono conto che fanno parte dell’altro [5]» per la propria realizzazione. Infatti, la verità fondamentale della vita è che ciò che è più intimo ed esistenziale in me è la presenza dell'altro.

Sarebbe meglio se ognuno di noi s’impegnasse a creare e inventare un futuro nuovo dove tutti possano essere fratelli.

È per questo che tutto il nostro sforzo dovrebbe essere alla ricerca di un'invenzione del futuro. Questa invenzione è di comprendere l'altro, non come mio limite, ma come mia condizione poiché l’altro ci aiuta a prendere coscienza dei limiti della nostra umanità. L'esperienza dell'intersoggettività mi apre all'altro e mi aiuta a soddisfare me stesso attraverso il riconoscimento della sua presenza. Nell'intersoggettività, l'individuo non è più bloccato in sé, diventa anche co-presenza, in gran parte aperto verso l’altro e il mondo. «L'uomo è veramente uomo solo donandosi, cioè, perdendo i suoi limii i[6]

Con la nascita della modernità il più grande sforzo era di riuscire di pensare l’altro nella sua alterità.

Si è visto l’aumento della negazione dell’altro, la non apertura alla diversità, alla differenza. «Il peccato originale della modernità fu di aver ignorato nell’altro “l’Altro” sacro e di averlo codificato come uno strumento dentro il mondo della dominazione nordatlantica [7]

Si può dire ancora che con la nascita della modernità l’individualismo ha raggiunto un livello molto alto. Il termine utilizzato era, ed è, la “privacy”. Questo termine ha causato lo sviluppo dell’individualismo fino ad essere preso nel Cogito ergo sum di Cartesio dimenticando che se «Cartesio è perché sua madre lo ha messo al mondo, ma lui se l’è dimenticato, e crede di mettersi al mondo con il suo pensiero [8]

Dopo tutto questo fatto, il movimento che ci è chiesto è di riuscire a fare un passo più avanti dall’ “io” al “noi”, dalla singolarità alla pluralità, di una società chiusa a quella aperta e ancora lasciarci scivolare le nostre concezione labili e classiche che ci stanno sempre addosso nella distinzione io-te, noi-loro, primitivi-selvaggi, ecc. Questa forma di pensare non aiuta per niente l’umanità ad andare avanti anzi la tira ancora dietro e fa perdere il senso dell’alterità. La bellezza dell’alterità è che ognuno si muove con la sua identità senza perderla, anzi è essa che lo definisce. Quindi non si può parlare dell’alterità senza fare cenno dell’identità o viceversa.

DALL’IDENTITÀ ALL’ALTÉRITÀ

L’uomo è quell'essere che riflette e indaga sulla sua origine e su quella degli altri. Vuole conoscere il perché della sua esistenza. A volte s’interroga sulla sua identità. Ma se l’identità di ciascuno ha la sua peculiarità, non è detto allora che ognuno abbia il diritto di prevaricare sugli altri, altrimenti è evidente che questo è l'inizio dello scontro.

Tuttavia, la realtà quotidiana rivela ciò che l'uomo è e ciò che vuole essere. Non è tutto ciò che è e tutto quello che ha.

Non ci si affianca all’altro perché ha una forma peculiare, ma perché è prima di tutto umano e merita di essere accolto. «L'uomo diventa umano solo attraverso la comunione con gli altri, costituendo una famiglia [9].» Come ci dice Carmine di Sante: «(…) l’affermazione dell’alterità umana come alterità accolta e amata è l’oltrepassamento dell’individualismo, il mito dell’“ego cogito” cartesiano con cui nasce e si istituisce la modernità [10]

Quindi il rifiuto di questo gesto, di questo atteggiamento, movimento di sorpassamento di sé verso l’altro, crea l’inimicizia e rompe a volte la shalom (l’armonia) umana cioè questa capacità di accogliere. Questa situazione è il risultato di non accettazione dell'altro. Ora, ogni volta che un individuo o un popolo si sente costretto a definirsi o difendersi, perché la sua identità è stata respinta, produce sempre delle tensioni conflittuali. Le guerre odierne sono il risultato di conflitti forse etno-identitari e di interessi economici, di potere politico, cioè è la rivalità tra tutti che crea il caos umano e umanitario.

Tuttavia, nonostante questa difficile convivenza, il «futuro dell'uomo non è solo il risultato delle condizioni e delle cause che esistono già, ma quanto lui è in grado di trascendere se stesso per diventare artefice del proprio futuro, il futuro di tutti [11]

L'accettazione dell'altro e la convivenza reciproca farà in modo che l'umanità sia un solo popolo.

C'è sempre tempo per aspirare a questo ideale e per promuovere l'altro per formare un inscindibile “noi”, centro e sorgente di creazione di ognuno. È questa interdipendenza tra le alterità che costituisce l'essenza dell'uomo. Volendo mostrare la ricchezza della la vita d’insieme, si è detto che chiunque sia colui che incontri, è quello giusto.

Nessuno entra nella nostra vita per caso.

Tutti quelli che ci circondano, tutti quelli con cui interagiamo, rappresentano qualcosa, ci insegnano qualcosa o ci aiutano a migliorare la nostra condizione attuale. La nostra umanità ha bisogno veramente d’unità, ha bisogno di costituirsi in una famiglia dove l’altro non sarà più l’inferno ma la condizione necessaria per la mia esistenza. Ciò è possibile solo nell’alterità che ci rende dipendenti [12] l’uno dall’altro. Essere-con non è un posto dove ci si istalla una volta per tutte, non è un dato immediato, per contro è una conquista da continuare.

Dopo tutto questo si può vedere allora che l’identità è necessariamente definita con riferimento alle alterità.

Qualsiasi rapporto implica quindi una dualità di termini immessi come tali nell'unità. L’alterità ci aiuta a cogliere la bellezza della positività delle differenze da una parte, e d’altra parte a decostruire e distruggere il mito della superiorità di alcune concezioni sbagliate di dominazione sugli altri, per raggiungere un progetto globale di creazione di un «nuovo tessuto sociale per inventare un nuovo concetto di politica (...), che non può lasciare una prospettiva individualistica, ma comunitaria (...)[13]

CONCLUSIONE

Il futuro dell'umanità dipende dall'uomo, dalla sua capacità di trascendere i limiti delle culture individuali per vivere in una differenza positiva dove l'altro mi appare come l'altro da me. L'invenzione di un nuovo futuro diventa come una risposta a un progetto globale per l’umanità, una storia vera che non sarà basata sull'egoismo né sul nostro individualismo, né sulla nostra cultura né sulla nostra etnia; ma che potrebbe creare un vero futuro che ci permetterà di trovare tutte le dimensioni umane [14].

A questo possiamo arrivare attraverso il dialogo tra le civiltà, culture, identità.

Questo progetto globale è pensare e vivere un nuovo rapporto umano rispettando e salvaguardando la Shalom iniziale che abbiamo ricevuto gratuitamente dall'Altro.

  • Munandi Bahige Innocent, s.x.

 

[1] La traccia dell’altro, F. Ciaramelli, citato da Carmine di Sante, Lo straniero nella Bibbia. Ospitalità e dono, ed. San Paolo, Milano, 2012, p. 56.
[2] Alfa Blondy nel suo album YITZAK RABIN uscito nel 1998.
[3] Alors que le christianisme definit autrui comme le prochain, pour Hegel (1770-1837), autrui est le tout autre, le rival, voire meme l’ennemi. Pour Husserl (1857-1938) et le phenomenologie, autrui est l’autre moi donné non comme objet autre mais comme alter ego. Merleau-Ponty (1908-1961) insiste sur la dimension d’intercorporeité dans la relation intersubjective. La copresence d’autrui et de moi est aussi originaire que celle de ma conscience et de mon corps. Pour Levinas (1906-1996), autrui en tant qu’autrui n’est justement pas l’alter ego, il est ce moi que je ne suis pas, l’infiniment autre qui se derobe à moi et dont l’alterité irréductible dérobe sans cesse l’idée que j’en ai.
[4] R. GARAUDY, Pour un dialogue des civilisations, ed.Denoel, Paris, 1977, p. 158
[5] Idem, p. 168.
[6] GARAUDY, Appel aux vivants, ed. du Seuil, Paris, 1979, p. 228
[7] A. Rizzi citato da Carmine di Sante, op. cit., pp. 38-39
[8] Andriana Cavarero citato da Carmine di Sante, op. cit.p. 61
[9] R. GARAUDY, Parole d’homme, éd. Robert Laffont, Paris, 1975, p. 247
[10] Carmine di Sante, Lo straniero nella Bibbia. Ospitalità e dono, ed. San Paolo, Milano, 2012, pp. 62-63
[11] R. GARAUDY, Parole d’homme, op. cit., p. 246
[12] Non nel senso negativo dove c’è un sovrano e un subalterno ma nel senso positivo di reciprocità.
[13] R. GARAUDY, Pour un dialogue des civilisations, op. cit., p. 8.

[14] Idem, p. 8.


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Pubblicato
19 Agosto 2017
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