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Zelarino, 40 anni dopo, Vista da un reduce

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Mi appare cambiata via Visinoni in questo pomeriggio di febbraio, ben diversa da come la ricordavo. La strada di una volta sulla quale si snodava pigramente la vita della borgata, adesso si è trasformata in una delle tante vie attraverso cui corre il traffico della metropoli. Sull'asfalto si accalcano automobili di ogni genere, impazienti di giungere sulla Castellana. E l'aria è satura di benzeni e di ossidi di carbonio.

Al n° 4 il cancello si è spalancato; il viale alberato mi accoglie come un tempo, e mi accompagna verso la severa villa patrizia. Mi sento il cuore in gola, mentre lentamente mi inoltro nel parco nelle prime brume invernali. Pare proprio di scivolare indietro nel tempo, verso quell'autunno di 46 anni fa, quando per la prima volta giunsi a Zelarino. La collinetta è sempre là, come una volta. E sulla sinistra si stende ancora il campo sportivo, il fedele amico di tanti pomeriggi di vacanza.

Il cortile adesso si è ricoperto di cemento. La fanghiglia di allora, quella che nei giorni di pioggia ci impediva di proseguire i nostri giochi all'aperto, è scomparsa. Insieme con le voci festanti che lo riempivano ogni giorno. I superiori mi avevano inviato come insegnante dei ragazzi di quinta ginnasio: ero il loro "prefetto".

Allora l'antica costruzione stava prendendo forma, e poco importava il freddo e la nebbia che penetravano nelle vaste camerate e rendevano più severo il richiamo della campanella che spezzava all'alba il loro riposo. In coro rompevano il silenzio notturno accogliendo con gioia il dono di una nuova giornata. "Benediciamo il Signore!", intonavo. Ed i ragazzi, gli "apostolini" come venivano chiamati, gridavano in coro: "Rendiamo grazie a Dio!".

Il nuovo giorno era ormai sbocciato, come una corolla ricca di promesse. Perché il n° 4 di via Visinoni negli anni 50 sembrava davvero un albero primaverile, dai rami ancora scarni ma gonfi di vita. E la fioritura non si fece attendere. Era il 1954. Il mio primo anno di Zelarino, di cui porto in cuore una messe di memorie care: 365 giorni di gioia. Ed un giorno di oscurità, quel tristissimo 14 luglio 1955, quando l'indimenticabile Silvestro Rossi scivolò dalla cengia su cui si era avventurato alla ricerca di stelle alpine.

Una delle tante vittime i cui nomi costellano le rocce del Pasubio. Arrivederci Silvestro, fiore di cielo, raccolto dal Signore in una giornata di sole, "perché ti amava tanto", come abbiamo scritto sulla tua lapide. Di fronte alla villa s'innalza la cappella, che vidi per la prima volta nel 1961, quando ritornai a Zelarino, tre anni dopo la mia ordinazione sacerdotale. I rami dell'albero stavano maturando frutti abbondanti.

Ogni anno giungevano decine e decine di allievi per iniziare la loro formazione da noi. Ed ogni anno decine di ragazzi partivano verso S. Pietro in Vincoli per compiere il periodo di noviziato che avrebbe fatto di loro nuovi Saveriani. Con i suoi archi, il suo pavimento di marmo la cappella ci appari va splendida, un vero tempio dove accogliere i nostri giovani per celebrare insieme liturgie degne di quelle che poi avrebbero compiuto in terra di missione.

Nel 1958 avevano raggiunto il sacerdozio i primi confratelli usciti da Zelarino: alcuni fra loro avevano cominciato a sciamare in tutte le missioni che il nostro Istituto aveva ricevuto dalla S. Sede: Sierra Leone, Bangladesh, Brasile, Congo e tante altre.

E dopo la cappella sorsero le nuove aule scolastiche. Perfino la vecchia villa stava riassettandosi con un'accurata toeletta che rinnovò le sue strutture interne. Finite le sere d'inverno in cui dovevo applicare strati di scotch sulle fessure delle finestre da cui entrava il soffio gelido della bora. Trascorsero così anni ed anni intensi di impegno apostolico e formativo.

Sfioro oggi gli edifici che mi guardano silenziosi. Una freccia direzionale indica: "Missionari Saveriani". Provo un tuffo al cuore nel seguirla. Mi pare quasi un'indicazione funebre, il ricordo di una giovinezza tramontata, scomparsa nelle nebbie del passato. Svanite le voci festanti di un tempo, le rumorose ricreazioni nel cortile, le classi affollate, la cappella gremita ...

Stiamo vivendo i giorni grigi di questo presente, in cui su tutta la Chiesa del Signore sembrano allargarsi le nebbie dell'incertezza. Forse è venuto il pomeriggio afoso, in cui il peso della giornata pesa sulle braccia e sul dorso dei lavoratori che il Padrone ha inviato dal primo mattino nella sua vigna.

La vista dei confratelli che da anni, da decine di anni non rivedevo, mi riempie di fiducia. Eccoci ancora insieme, come una volta, a vivere la nostra vocazione. Quella di sempre, che fin dai tempi dell'infanzia ci ha guidati: aiutare i fratelli ad incontrare il Signore Gesù. Certo non avrò più davanti a me le folle festose che nella foresta dello Zaire o sulle colline del Burundi assiepavano le liturgie festive, ed accendevano di danze e canti le celebrazioni pasquali.

Sono finiti i tempi in cui le zelatrici missionarie ci insegnavano a pregare per i nostri fratellini africani e cinesi che non conoscevano Gesù. Per tanti aspetti il mio ritorno in Italia mi sembra quasi l'arrivo in una steppa pietrosa dove la semente evangelica inaridisce. Tante, troppe cose rischiano di riempire la nostra giornata e di soffocare ogni spazio alla Parola di Dio.

Rivivo il Natalè '99, il primo che ho trascorso dopo  decine di anni nella nostra Italia; rivedo le luminarie cittadine; i locali sfarzosamente addobbati per celebrare l'ennesima sagra del consumismo, alla gloria del Natale pagano dei nostri giorni, con il barbuto fantasma vestito di rosso che accoglie i passanti sulla soglia dei supermercati, invece degli Angeli di Betlemme. E così muoiono le memorie di speranza, sostituite dagli spot pubblicitari. E così la gloria del lieto Annuncio dovrà forse rifugiarsi in terre lontane, oltremare, dove i poveri di Dio sono pronti ad accoglierlo.

È questa letizia degli umili che voglio tentare di condividere d'ora in poi con i miei fratelli italiani. Perché è promessa a tutti, senza preclusione alcuna, la vita autentica, l'Unica degna di questo nome, che consiste nel conoscere Te, solo vero Dio, e Colui che tu hai inviato, Gesù Cristo.

La Pace sia con te, Zelarino!



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