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Una civiltà della solidarietà, Tensione universale...

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C'è un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti e penetra ogni nostra attività. È la globalizzazione: quel fenomeno per cui ogni operazione - economica, culturale o politica che sia - assume dimensioni mondiali. Ne parla anche il papa nell'enciclica sociale Caritas in veritate e la chiama "l'interdipendenza planetaria" (n. 33).

La globalizzazione ha avuto come effetto il "coinvolgimento di tutte le economie", per cui tutto è diventato merce: merce sono diventati il lavoro, la salute, gli organi umani da trapiantare, il sangue da donare, e anche... le persone. Quello che si è dimenticato è l'uomo e la sua dignità. E nello stesso tempo in cui tutto prende una dimensione universale, noi constatiamo che, paradossalmente, la globalizzazione produce insicurezza e paura che si traducono in particolarismo e nazionalismo.

Invece delle potenzialità positive della globalizzazione, vediamo spesso crescere la chiusura sui propri interessi e il rifiuto degli altri.

Il cristiano planetario

Anche la chiesa porta in sé questa tensione all'universalità, secondo il comando di Gesù: "Andate in tutto il mondo ...". E il cristiano dovrebbe essere un "uomo planetario", come amava dire p. Ernesto Balducci. Quando il cristianesimo fiorisce secondo la sua natura, esso diventa l'opportunità storica, il lievito che fa crescere la massa del mondo e favorisce lo "sviluppo umano e integrale secondo la carità nella verità", che il Papa descrive nella sua enciclica; diventa quell'ispirazione carica di speranza di cui il mondo ha bisogno per non cadere nella disperazione.

Il convegno ecclesiale di Verona (ottobre 2006) ci ha chiesto di essere "testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo". Se la speranza è la tensione verso il futuro, dobbiamo chiederci come possiamo essere portatori di speranza in questo mondo confuso e aggrovigliato, che tende a chiudersi su se stesso, incurante degli altri e che rischia perfino di distruggere la casa nella quale abita. Teilhard de Chardin, gesuita e scienziato, seguendo la visione di san Paolo, vedeva nel Cristo risorto il nucleo attorno al quale si organizza lo sviluppo umano e il motore che spinge l'universo verso la sua pienezza.

Un sogno per vivere

Oggi questa visione, al tempo stesso scientifica e teologica, è ripresa anche da pensatori laici. Mi riferisco a Jeremy Rifkin. Nel suo libro "Il sogno europeo" aveva detto che, se c'è un futuro positivo per il mondo, questo si trova in quella cultura della solidarietà che è nata in Europa dalle sue radici cristiane, e non nel "sogno americano" intriso di pragmatismo utilitaristico. Pur fiero del suo essere americano, Rifkin concludeva che "per il sogno americano vale la pena morire, ma per quello europeo merita e conviene vivere".

Ora Rifkin ha pubblicato un nuovo volume intitolato "La civiltà dell'empatia". Questa è una civiltà ancora di là da venire, ma è l'unica in grado di dare futuro e speranza non solo all'umanità, ma anche alla terra, all'aria e all'acqua; in una parola, al cosmo intero. L'empatia, lo dice ogni dizionario, è "la capacità di immedesimarci nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni". Possiamo chiamarla anche la compassione.

L'anima della solidarietà

L'empatia - compassione è l'anima della solidarietà, che è esattamente il contrario dell'egoismo individualista che caratterizza la globalizzazione, l'anima dello sviluppo umano secondo Benedetto XVI, che in Caritas in veritate scrive: "Le modalità con cui l'uomo tratta l'ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa. Per questo è necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti" (n. 51).

La cultura o la civiltà dell'empatia è la strada dell'unico futuro possibile per l'uomo e per il mondo.

Sarà solo il sogno europeo o non sarà anche il sogno cristiano? Non è forse questo il cammino che ci conduce al regno di Dio?



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