Tra linguaggio e cultura
Un affabulatore, uno che ti tiene fermo sulla sedia per ore. È il professor Valerio Petrarca dell'università di Napoli che ci ha parlato di "linguaggio e cultura". La conferenza-dialogo di venerdì 13 aprile entrava nel solco della mostra interculturale "Oi dialogoi. Segni, suoni e parole".
Si vedeva, e ce lo ha fatto capire molto bene, che lui ama la sua professione, ci mette entusiasmo. Ha lavorato in Africa, in Costa d'Avorio e in Camerun, in collaborazione con il saveriano p. Tonino Melis "l'uomo che cerca parole".
Primo segno di differenza e umanità
Petrarca ha cominciato ricordandoci che nell'Occidente ci sono due racconti (miti) che ci possono aiutare a capire bene. Uno è Babele: la confusione delle lingue (parlano, ma non si capiscono) e l'altro è Pentecoste: ognuno parla la propria lingua, ma ci si intende a vicenda.
Per lui è chiaro che l'incontro con l'altro è la cosa più bella, anche se non è facile. C'è sempre il rischio di malintesi. Però, ci costringe a pensare e a riflettere. L'altro ci rinvia sempre due immagini: estraneo o amico. Da non dimenticare che la parola "barbaro", in greco vuol dire "balbuziente, estraneo" (uno che non capisce e non parla la tua lingua).
La lingua è il primo segno di differenza e di umanità. Abbiamo parole, ma sono diverse. Allora vediamo in che cosa ci assomigliamo e in che cosa ci differenziamo. La lingua è uno strumento per capire una cultura. Allora perché esistono tante lingue? Non è Dio a introdurre il disordine della comunicazione, ma l'uomo (Babele). La Pentecoste è il superamento come grazia di una condizione perduta.
L'origine delle lingue
C'è sempre una dinamica tra fratellanza ed estraneità. Gli studiosi ci propongono due piste di riflessione sull'origine delle lingue. La prima è quella storica (ciò che è successo). La si vede nelle parentele linguistiche che poi diventano culturali. Ad esempio, il latino le ha unite, poi, dopo la caduta dell'impero romano, sono riemerse le differenze. Ci sono delle affinità tra sanscrito, latino e greco (il ceppo indo-europeo). Quando si dice che c'era una comune origine, si capisce che poi le differenze sono intervenute a causa dell'interruzione delle comunicazioni (montagne, fiumi, immigrazioni). Si vede anche dalla ricerca che ci sono dei racconti simili che si trovano in molte culture.
Un secondo aspetto è dato dalla constatazione che gli uomini possono emettere tanti suoni. Ma gli adulti li impoveriscono, li selezionano. Sono i fonemi (unità minima di articolazione provvista di significato). C'è quindi un passaggio dal suono al senso. Li abbiamo individuati e li mettiamo in opposizione tra loro. Un piccolo suono distingue le cose.
Due modelli da seguire
C'è una grammatica del cervello umano: noi siamo predisposti, come essere viventi, a fare delle operazioni inconsapevoli. Ma la nostra mente è predisposta all'ordine: siamo uniti nel vuoto e differenti nel modo con cui lo riempiamo. Il dono, ad esempio, è una manifestazione inconsapevole dell'essere uomini (io ricevo e normalmente lo restituisco con gli interessi). Gli uomini si assomigliano negli aspetti non consapevoli (più ci si mette a nudo, più ci si scopre fratelli). Abbiamo bisogno della differenza e di intensità di comunicazioni.
Possiamo avere due modelli: a) ricostruzione, cercare di intendersi, accettando la superficie dell'altro; b) vedere in che cosa ci assomigliamo per avere un'idea di come ci differenziamo (esame di coscienza in profondità).
Dopo queste riflessioni, sono partite le domande, a cui il prof. Petrarca ha risposto con semplicità e profondità, mescolandole con espressioni napoletane che hanno meglio esplicitato le sue idee. Si è molto meravigliato del fatto che siamo rimasti fino a tarda ora a dialogare con lui. La sua presenza ci ha veramente aiutato e speriamo di averlo ancora altre volte con noi.
- Per contattarlo: valerio.petrarca@unina.it