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Testimoniare nella chiesa la Profezia

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Quale progetto per gli Istituti Missionari oggi in Italia

Lo scorso febbraio, ad Ariccia, 23 Istituti Missionari si sono incontrati per approfondire il tema "Quale progetto per gli Istituti Missionari in Italia oggi". Erano 134 i convegnisti, rappresentanti delle 23 Congregazioni che contano quasi 20 mila membri, di cui 5.283 di origine italiana. Di questi ultimi, ben 2.566 si trovano attualmente in Italia. Il 68,8% dei missionari/e hanno un’età superiore ai 65 anni, mentre solo il 6,6% ha meno di 45 anni. Negli Istituti femminili, le religiose missionarie ultra sessantacinquenni sfiorano l’84%. Questi dati sono stati approfonditi per un giorno intero, con forte preoccupazione, durante la seconda giornata di lavori del Forum. Negli ultimi undici anni sono entrati in media nei Seminari due giovani, ogni anno, per ogni Istituto.

Dunque gli Istituti Missionari vivono nel nostro Paese un momento di forte crisi. Lo confermano i dati sull’età e sulle "nuove entrate", emersi ad Ariccia.

Ma resiste con forza la convinzione sulla validità della loro presenza, sia nella realtà ecclesiale, che in quella civile. Padre Bartolomeo Sorge ha sostenuto, nel suo intervento, che la vita del mondo di oggi è attraversata da tre processi: la secolarizzazione, la crisi dei valori, la globalizzazione.

Gli Istituti Missionari sono disponibili a prendere sul serio ciò che sta accadendo, a passare dai sommi principi alle sfide dell’oggi; è emersa con chiarezza la necessità di dare risposte comuni, inventando nuovi ambiti di collaborazione con la Chiesa locale.

Luci e ombre

Nella relazione introduttiva alla terza giornata del Convegno suor Elisa Kidané, Comboniana di nazionalità eritrea, giornalista, ha detto: "Siamo qui per guardare serenamente la nostra storia, vedere insieme le luci e le ombre che la compongono e, insieme, cercare nuove strategie, nuovi stili di vita". La religiosa ha sottolineato l’importanza della preghiera, della contemplazione e della profezia: "I missionari e le missionarie debbono essere di pungolo alle Chiese Locali perché facciano opera di evangelizzazione, con coraggio e novità di vita. Occorre inoltre fare causa comune con i poveri, specie con quanti vengono da altri Paesi e continenti, rischiando con loro e per loro l’impopolarità, e magari praticando l’obiezione di coscienza a determinate leggi".

mani Padre Francesco Pierli, già Superiore Generale dei Comboniani, ora preside dell’Università cattolica di Nairobi, ha richiamato con forza i missionari a farsi carico del sociale, perché l’essenza della fede cristiana sta nel vedere in ogni persona l’immagine di Dio e di amare il fratello e la sorella come si ama Dio: "C’è troppo Dio e poco uomo nella nostra religione – ha detto il religioso Comboniano. Così c’è il rischio di ridurre la religione a pura ritualità. Il Vangelo di Cristo è autentico solo se cambia la vita. Assumere la prospettiva del regno di Dio significa entrare concretamente nella storia con la risorsa inesauribile della speranza che scaturisce dalla resurrezione di Cristo".

Dal deserto del Sahara giungono attuali ancor oggi le parole di Carlo de Foucauld: "Quando compresi che davvero Dio mi amava, capii anche che la mia vita non avrebbe avuto più altro senso che questo: di ricambiare per amore, con tutte le mie forze e farlo conoscere agli altri uomini". Al Convegno di Ariccia si è trattato a lungo il tema della crisi delle Vocazioni, oggi. La migliore pubblicità per la Chiesa rimane la santità, cioè l’incarnazione del Vangelo nel mondo attuale. I santi sono l’immagine, se pur imperfetta, di Gesù che vive la vita del nostro tempo. E convincono più di ogni spot pubblicitario. Quando Dio ci fa la grazia di incontrare un santo, capiamo subito la differenza che passa tra Vangelo predicato e Vangelo vissuto. La migliore animazione vocazionale sono le rughe che risaltano nel volto di Madre Teresa di Calcutta.

Crisi di vocazioni

La lettera che il cardinal Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano ha inviato lo scorso anno al Seminario Ambrosiano si apre così: "Sarebbe strano e poco coerente con lo stile evangelico che le Comunità cristiane si fermino alla constatazione del calo numerico dei preti con una sorta di paralisi rassegnate". La situazione attuale delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa in Italia (ma più o meno è così anche altrove) invita a riflettere. I sacerdoti (diocesani e religiosi) nel 1978 erano in Italia 63.755. L’anno scorso erano scesi a 54.950. La crisi femminile è ancora più grave; l’unica eccezione è l’aumento delle vocazioni per la vita claustrale. Ma ciò che più colpisce è l’invecchiamento. Il 17% si colloca nella fascia tra i 40 e i 60 anni; il 53% ha più di 60 anni; il 21% è oltre i 70, mentre solo il 7% è al di sotto dei 30 anni.

Chi studia il fenomeno afferma che le cause della crisi sono soprattutto culturali, legate alla fase di cambiamento di quei valori fondamentali che caratterizzano la società italiana: la crisi della coppia e della famiglia, con conseguente caduta del tasso di natalità; la rinuncia frequente dei genitori all’educazione alla fede dei loro figli, che porta all’ateismo pratico; la caduta della cultura della vita e della solidarietà, tanto nella famiglia, quanto nella vita politica; aggiungiamo la tragica realtà di droga, aborto, divorzi, consumismo dilagante. Ognuna di queste cause equivale ad una sfida che per la vita consacrata o al sacerdozio assume dimensioni particolarmente forti, perché tutte insieme descrivono un processo di scristianizzazione che parrebbe inverosimile.

Ma le difficoltà non chiudono il cammino, anzi stimolano a proseguirlo sapendo che il Signore è vivo e in mezzo a noi. In un contesto di secolarizzazione crescente ai sacerdoti e alle Comunità si chiede di essere ancora più segno e scuola di fede e trasparenza. Le vocazioni nascono e si sviluppano dove c’è chiarezza di vita.

Gli operai e la messe

Non è un problema di sociologia o di intelligente pubblicità. La crisi di vocazioni è un problema di Gesù Cristo. Lo dice Lui: "Pregate il padrone della messe perché mandi molti operai a mietere". È giusto darsi da fare, ma la vocazione (verbo latino "vocare", che significa "chiamare") alla fine viene da Dio, che chiama.

Ma in questa crisi non mancano gli aspetti positivi. Perché mai nella storia della Chiesa c’è stato un laicato così vivo e responsabile come oggi. La diminuzione delle vocazioni svilupperà nuove forme di impegno laicale; se veramente lo vorranno, i preti potranno essere liberati da tanti impegni e potranno fare davvero i preti, badare al servizio della Parola e dell’Eucarestia. La crisi è sempre un’occasione di crescita. Si può pensare a nuove forme di preparazione al sacerdozio. Le attuali strutture dei seminari e delle parrocchie (più o meno) si rifanno al periodo post-tridentino: sono passati poco più di 400 anni!

Il chicco di senape è il più piccolo dei semi, dice il Vangelo, e diventa un grande albero. È il lievito che fermenta la pasta. Il cristiano (e a maggior ragione il sacerdote, la suora, il missionario) non fa altro che presentare all’uomo il vero senso dell’uomo e della donna, figli di Dio e fratelli tra loro.

È questione di identità, non certamente di numeri.



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