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Sono passati a trovarci… Dal Brasile

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Nel periodo estivo i missionari e le missionarie rientrano in famiglia per un po' di riposo, per qualche visita medica e per incontrare parenti e amici. Con chi è passato a trovarci, abbiamo trascorso un po' di tempo e abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa della loro esperienza missionaria.

Abbiamo raccolto qualche "briciola" di queste conversazioni che, con gioia, condividiamo con voi, amici lettori, a cui sta a cuore Gesù, il suo vangelo e la missione della chiesa.

p. Piero Pierobon, sx.


Sono nata a Taranto, ma trasferita a Montemesola durante la guerra. A 19 anni sono entrata dalle saveriane e nel 1958, subito dopo la professione dei voti religiosi, sono partita per il Brasile. Sono stata 10 anni al sud, nel Paranà; poi sono passata al nord, in Amazzonia, dove sono stata 40 anni nella diocesi di Abaetetuba. Dal 2007 sono in una missione nella regione del Maranão.

Tra i figli degli schiavi

Nel Maranão la maggior parte della popolazione è composta dai discendenti degli schiavi deportati dall'Africa. La condizione sociale è molto precaria e la gente è molto povera. Gli unici posti di lavoro sono legati alla pubblica amministrazione che cambia continuamente. Il cibo base è la manioca che tutti usano al posto del pane; poi ci sono il riso e i fagioli. La ricchezza consiste nel possedere bestiame; perciò un padre che vuole garantire l'avvenire al figlio gli regala un bue.

Gli abitanti della missione sono circa 12mila, ma in un territorio vastissimo e le distanze sono enormi. Quasi nessuno ha un riferimento religioso cristiano. Finito il tempo della schiavitù, queste persone si sono riunite evitando il contatto con le città vicine dalle quali si sentivano escluse. Ancora oggi sentono questo distacco e dicono: "Lì non ci andiamo perché non ci accettano". Si tratta di un gruppo che è stato lasciato ai margini della società.

Una missione "nuova"

Per noi saveriane questa è una missione "nuova". Quando mi hanno mandata a Serrano do Maranão, tutti si meravigliavano e dicevano che non esiste un inferno peggiore! Ero molto preoccupata, però pensavo che anche loro sono popolo di Dio e bisogna riscattarli. La missione sarebbe stata difficile, ma è Dio che la porta avanti...

A Serrano c'era da iniziare da zero e noi saveriane ci siamo imposte che per il primo anno non avremmo preso alcuna decisione: avremmo guardato, visitato le famiglie, constatato cosa sanno e cosa non sanno, di cosa realmente hanno bisogno..., per poi compiere le nostre scelte. E così abbiamo fatto.

Investire sui giovani

Abbiamo capito che con gli adulti si riusciva a fare poco e allora abbiamo investito le nostre energie sui bambini e sui giovani che sono più aperti. Ora, grazie a Dio, nel giro di quattro anni, la chiesa si riempie e ci sono dodici gruppi di laici che si incontrano nelle famiglie per l'evangelizzazione. Si tratta di un lavoro di formazione che portiamo avanti senza forzare i tempi.

I giovani hanno dato esempio di responsabilità anche quando una nostra sorella si è assentata per sei mesi: sono andati avanti da soli! Anche il vescovo ha detto: "Se sono andati avanti da soli, vuol dire che andranno avanti". Davvero il Signore sta lavorando molto.

L'esempio del Brasile

Le sfide odierne della missione ci spingono a essere costantemente aggiornate, perché le cose cambiano in tutti i sensi. Come cammino di fede, stiamo proponendo l'iniziazione cristiana, per cui è essenziale incontrarsi con Gesù Cristo e con il vangelo. Conoscere Gesù, sapere chi è, essere suo amico, discepolo e missionario allo stesso tempo... Poi viene tutto il resto. Credo che sia realmente la strada giusta da percorrere in questo momento.

E mi sembra sia necessario anche per la chiesa qui in Europa, dove bisogna ridare una risposta personale a Cristo e alla sua Parola. Non basta essere battezzati!

In questo, forse, la chiesa del Brasile, con i laici molto impegnati, avrebbe qualcosa da insegnare.



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