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Sono cristiano? Allora, dialogo

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Il 4 ottobre, festa di san Francesco di Assisi, mi riporta alla mente il grande poverello di Assisi. In questa giornata, il QCEF (Quezon City Ecumenical Fellowship), gruppo ecumenico di cui faccio parte, ha celebrato la conclusione della “Stagione della Creazione”.

Promossa da un Comitato, al quale hanno partecipato membri di diverse Chiese e, tra gli altri, rappresentanti del Dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale, l’Unione internazionale delle superiori generali e il Patriarcato ecumenico, è stato organizzato un momento di preghiera a cui hanno partecipato cattolici, metodisti e altre denominazioni cristiane. Ci siamo sentiti uniti, nonostante le differenze delle nostre chiese, per chiedere a Dio di ispirare uomini e donne pronti a sacrificare la vita per la nostra Casa Comune. Uno è lo Spirito che suscita in noi il rapporto con Dio e tra noi.

Questo atto di apertura e di fiducia, suscita non pochi dubbi e perplessità in alcuni parrocchiani: “Corriamo il rischio di essere confusi”. “Non sappiano più cosa sia giusto o sbagliato”. “Il pericolo è che in tanti lascino la Chiesa Cattolica per aderire ad un’altra setta”. Comprendo i loro timori, però mi domando: quanto è robusta la nostra fede? Su quale pietra è fondata la nostra casa? Se basta un nulla per aderire ad un’altra chiesa che, sotto certi aspetti, è più coinvolgente, più accogliente, più attenta alle persone, questo significa che dobbiamo realmente riflettere su chi siamo e su come viviamo il nostro vangelo.

L’incontro con l’altro, a mio parere, innesca un meccanismo tale che desidererò conoscere meglio la mia fede, chi sono, la mia identità. L’incontro con l’altro mi costringe a muovermi, a cercare, a cambiare, a riscoprire e rafforzare le ragioni del mio credere. Come dice Papa Francesco in “Fratelli Tutti” (203): “In un vero spirito di dialogo si alimenta la capacità di comprendere il significato di ciò che l’altro dice e fa, pur non potendo assumerlo come una propria convinzione. Così diventa possibile essere sinceri, non dissimulare ciò in cui crediamo, senza smettere di dialogare, di cercare punti di contatto, e soprattutto di lavorare e impegnarsi insieme”.

Noi saveriani, che vogliamo fare del mondo una sola famiglia, abbiamo voluto osare allargando lo sguardo verso un orizzonte più lontano, ma autentico e necessario. Due anni fa, prima della pandemia, abbiamo invitato nella nostra parrocchia due ragazze musulmane. Abbiamo trascorso la mattinata con gli studenti dell’ultimo anno delle superiori della scuola parrocchiale di San Francesco Saverio, vicina alla nostra parrocchia. Hanno condiviso la loro esperienza di Dio (Allah), suscitando tante domande negli studenti che si sono sentiti incoraggiati a chiedere anche su questioni difficili e controverse.

Domande simili sono emerse la sera nell’incontro che abbiamo organizzato in parrocchia. “Perché ci sono musulmani che uccidono in nome di Dio?”. “Perché le donne hanno un ruolo inferiore?”. Le due ragazze non si sono sottratte dal rispondere a queste scottanti domande. Hanno ammesso che ci sono aspetti non facili della loro religione, ma ci hanno tenuto a sottolineare che la loro vita è strettamente legata all’esperienza di Dio (Allah), che dà senso e direzione al loro viaggio terreno.

Il dialogo ecumenico e molto di più quello interreligioso rimangono una sfida grande, soprattutto quando la controparte, per diverse ragioni, non è intenzionata a instaurare una conversazione. Ma questa è la strada tracciata dallo Spirito Santo, attesa dalle Chiese Asiatiche e intrapresa profeticamente da papa Francesco. Non dimentichiamoci che nell’area Asia-Pacifico la percentuale di cattolici cristiani è pari al 3% della popolazione. Il dialogo per noi cristiani non è una scelta. Noi siamo “persone di dialogo” e nel fare ciò diventiamo persone autentiche e appassionati discepoli di Gesù.



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