Resistere, reagire, rafforzare!
Tutte le analisi ormai lo dichiarano. Si preannuncia un tempo di crisi, che ci tocca da vicino, da dover… “tirare la cinghia”. Forse non eravamo ancora preparati o era ormai un ricordo evocato dai nostri anziani che erano cresciuti in tempi difficili e dovevano sbrogliarsela per arrivare a sera. Ai loro tempi persino il risparmio era considerato un lusso, perché risparmiare significava aver qualche cosa da mettere da parte, da utilizzare più tardi.
In Germania, si è consigliato di tagliare l’acqua calda per risparmiare, almeno d’estate. In Francia il presidente ha evocato la fine della “vacche grasse e dell’abbondanza” e che bisognerà aspettarsi delle restrizioni. In Italia, si chiede di utilizzare meglio l’acqua e si è deciso di abbassare la temperatura degli ambienti durante l’inverno. Segnali questi che preparano a uno stile di vita più sobrio.
Ma queste realtà di restrizioni, disagio e sofferenza sono già vissute da circa 15 milioni d’italiani, pari a più del 25% della popolazione. Se poi allarghiamo lo sguardo alla popolazione mondiale, le statistiche dicono che oltre 3 miliardi di persone (circa il 40% della popolazione mondiale) non può permettersi un’alimentazione sana.
Questi dati poi sono in continuo aumento a causa di conflitti, cambiamenti climatici e riscaldamento del pianeta. C’è sicuramente qualcosa che non va nel modo di organizzare il nostro mondo. Il modello di sviluppo di cui abbiamo approfittato finora con la sua idea di crescita continua, di sfruttamento delle risorse del pianeta, di consumo senza freni, non è in grado di assicurare una vita degna a tutti gli abitanti del pianeta, pur avendone le risorse. Anzi, produce più ingiustizie e un divario sempre più grande tra ricchi e poveri, assottigliando le file dei primi e allargando le file dei secondi. Questa consapevolezza non è ancora molto acquista, ma ciò che si avverte è la difficoltà a mantenere un certo livello di vita raggiunta negli anni, come se fosse un’ingiustizia alla quale bisogna porre rimedio, senza pensare che altrove è un fatto ordinario che dura da tempo.
In questa situazione di inasprimento del costo della vita, il cristiano non dovrebbe aumentare attitudini di individualismo protezionista e di chiusura verso gli altri ma, come ci indica papa Francesco, far crescere lo “spirito del vicinato, dove ognuno sente spontaneamente il dovere di accompagnare e aiutare il vicino (…) (dove) si vivono i rapporti di prossimità con tratti di gratuità, solidarietà e reciprocità, a partire dal senso di un noi di quartiere. Sarebbe auspicabile che ciò si potesse vivere anche tra Paesi vicini, con la capacità di costruire una vicinanza cordiale tra i popoli. Ma le visioni individualistiche si traducono nelle relazioni tra paesi. Il rischio di vivere proteggendoci gli uni dagli altri, vedendo gli altri come concorrenti o nemici pericolosi, si trasferisce al rapporto con i popoli della regione. Forse siamo stati educati in questa paura e in questa diffidenza” (FT, 152).
Le parole d’ordine dunque in questo ingresso annunciato della crisi sono per noi cristiani: resistere ad ogni individualismo con gesti di carità e di condivisione; reagire alla chiusura agli altri per andare verso chi ne ha più bisogno; rafforzare le nostre convinzioni di solidarietà e fratellanza universale per contrastare tutte quelle proposte che indicano prima il noi e poi, se resta qualcosa, gli altri. Siamo invitati, dunque, a “Vivere per Dono” proprio come ci indica il Festival della Missione. Coraggio!