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Piano piano le cose cominceranno ad andare bene. È ciò che mi diceva un amico, un anziano di nome Masongezi. Era un tipo originale. Collaborava nella parrocchia di Baraka, nel Sud Kivu, in Congo RD.

Mi aveva accolto nel 1984, quando ero arrivato e gli confidavo le mie difficoltà nell’inserirmi in un ambiente nuovo. Anche lui mi raccontava le sue storie passate, la ribellione del 1964 e 1967 quando alcuni missionari erano stati uccisi. Ma il loro sacrificio aveva prodotto frutti che vedevamo con i nostri occhi. Pazienza, è la parola che viene usata spesso di fronte alle difficoltà. Va cercata dentro di noi, facendola crescere ogni giorno. Qualche volta viene voglia di perderla e allora non si sta bene. Masongezi mi raccontava la difficoltà che avevano i primi missionari nel parlare la lingua, nell’adattarsi al cibo e al modo di vivere della gente. Lui, insieme ad altri, se ne era accorto e così decisero di dare loro una mano.

Durante i giorni di festa, era il primo a iniziare le danze. Era un mbembe, un tipo tosto, si metteva in mezzo, muovendo le spalle, e dava il via! Come per incanto, le preoccupazioni volavano via, oltre il lago. La gioia si impadroniva di ogni persona che si sentiva unita a chi li aveva preceduti. Era qualcosa di speciale e veniva voglia di unirsi a loro. Qualche volta ci ho provato. Nessuno ti criticava. Anzi, erano contenti che anche tu cominciassi a sentirti a casa tua in mezzo a loro.
Poi la pazienza dovevi esercitarla, quando chiedevi loro qualcosa da fare e, da “bravo europeo”, ti aspettavi risultati immediati. Invece, ti rispondevano: “Perdonami, padre, non aver paura. La farò domani”.

Così andavano le cose e ti abituavi al loro modo di vivere il tempo che è per le persone e non le persone per il tempo. Poi, quando dovevi partire per un viaggio, in auto o con il battellino, e avevi dato loro l’orario di partire, arrivavano con calma. Allora ti veniva voglia di dire qualcosa. Ma la risposta ti bloccava subito. “Padre, avevo dei problemi a casa; non ho potuto fare in fretta. Perdonami!”. Te lo dicevamo con un sorriso e tu eri sconfitto. Così, quando arrivavano in ritardo alla Messa, pur avendo l’orologio al polso. Mi veniva da chiedere a cosa servisse. “È un ornamento”, dicevano.

Il mondo non va sempre come vuoi tu. Ma anche loro erano persone degne, nonostante ritmi di vita diversi. Ho imparato a occupare il tempo dell’attesa per parlare con la gente, per interessarmi ai loro problemi, insomma per far capire che non ero uno venuto a fare i miei interessi, ma per stare insieme a loro. E allora cominciavo a scoprire tanti aspetti che loro ti confidavano e la fiducia reciproca cresceva. Bastava poco per capirlo, per mettere da parte la testa dura e avere un cuore che accoglie.



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