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Notizie: India, Ghana, Congo, Timor Est

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L’India celebra due grandi missionari: Tommaso apostolo e Francesco Saverio

A metà novembre si sono tenute in India, ad Ernakulam, le celebrazioni per il 1950° anniversario dell'arrivo di san Tommaso apostolo e per i 450 anni dalla morte di san Francesco Saverio.

Secondo la tradizione, tra gli anni 40 e 50 dell’Era cristiana, Tommaso si dedicò alla predicazione del vangelo in Medio Oriente (gli odierni territori dell’Iran, dell’Iraq e dell’Afganistan), per poi approdare, negli anni tra il 53 e il 60, lungo le coste dell’India occidentale. Qui Tommaso fu accolto con entusiasmo dalla gente della regione. Non fu accolto con la stessa benevolenza sulla costa sud orientale, dove trovò la morte, nei pressi di Madras. Qui ogni anno migliaia di fedeli accorrono per pregare sulla sua tomba. Sono "i figli di san Tommaso".

Proprio su questa tomba si recò, nel 1545, anche san Francesco Saverio, per dare nuovo slancio alla sua avventura missionaria, iniziata nel 1540. Nel maggio del 1542 il giovane gesuita spagnolo giunse a Goa, capitale dell’impero portoghese delle Indie orientali. Qui rimase per due anni, svolgendo una instancabile azione evangelizzatrice che portò a numerose conversioni.

Nel 1545, dopo la visita alla tomba di san Tommaso, il Saverio maturò il proposito di raggiungere Malacca, da dove proseguirà per l’Indocina ed il Giappone. Naturalmente non mancarono le difficoltà, ma Francesco Saverio le superò, grazie alla fede e al suo amore per la chiesa.

Congresso missionario internazionale africano

Si è svolto ad Accra, nel Ghana, il primo Congresso missionario ad gentes africano. Vi hanno partecipato 150 rappresentanti delle chiese missionarie di otto paesi: Gambia, Ghana, Kenya, Nigeria, Sierra Leone, Tanzania, Uganda e Zimbabwe. Sono tutti paesi appartenenti alla "zona anglofona", cioè paesi dove l’inglese è abbastanza conosciuto ed utilizzato.

Altri due Congressi si terranno per le zone familiari con il francese e il portoghese. Il criterio della lingua è stato adottato non per ragioni pastorali o culturali, ma per facilitare la comunicazione tra i partecipanti.

Dalla Sierra Leone hanno partecipato nove persone, tra cui i saveriani p. Vittorio Bongiovanni e p. Antonio Guiotto.

P. Guiotto racconta:

"Tutto il Congresso ha parlato solo di questo: l’evangelizzazione e il primo annuncio in Africa. L’obiettivo era proprio quello di riaccendere la speranza e dare nuovo coraggio ai missionari. Durante i cinque giorni del Congresso, il clima è stato molto spirituale, carismatico. Abbiamo sentito la presenza dello Spirito Santo, che ci ha guidato.

I missionari non africani eravamo pochi, ma è stata molto buona la partecipazione delle chiese locali, soprattutto di Ghana, Nigeria e Sierra Leone.
E' stata una esperienza importante in questo particolare momento storico della chiesa d'Africa. Dobbiamo cercare di rendere la nostra attività missionaria sempre più credibile, cioè più coerente con il vangelo che predichiamo. Un altro aspetto importante è la formazione degli agenti di evangelizzazione: è un dovere di noi missionari formare, in Africa, tanti altri missionari del vangelo.

Sono convinto che lo Spirito Santo stia guidando la chiesa africana verso vie sempre nuove, proprio attraverso le difficoltà e i problemi di questi tempi così drammatici per l’Africa.

Il Congresso è stato importante anche per noi saveriani, perché riguardava direttamente il nostro carisma. Noi siamo chiamati proprio a questa missione: evangelizzare attraverso l’annuncio di Cristo e le opere della solidarietà. Questo è il nostro primo e assoluto dovere, se vogliamo essere figli autentici del beato Conforti.

Mi auguro che altri saveriani prendano parte allo stesso Congresso quando
verrà fatto in lingua francese e portoghese".

Massacri a Bukavu

Un massacro è stato compiuto a Kabare a sabato 23 novembre; un altro massacro è avvenuto a Lubarika, vicino a Luvungi; altri massacri sono stati fatti al nord, sempre nella regione di Bukavu.

Nel massacro di Kabare sette persone sono rimaste uccise, sgozzate e sfregiate; tra loro, uomini, donne e un bambino. Diciotto case sono state bruciate, letteralmente ridotte in cenere, dopo essere state saccheggiate.

Alcuni giorni prima, un gruppo armato di Interamwe (miliziani di origine ruandese) aveva attaccato e saccheggiato ripetutamente vari quartieri del grande villaggio di Kabare. La gente, esacerbata dagli attacchi, era riuscita a prendere quattro aggressori e li aveva uccisi. Il massacro è stato compiuto dagli aggressori Interamwe come forma di vendetta e di intimidazione.

Stranamente, dalla postazione militare di Kabare nessuno si è mosso per difendere la popolazione, neppure quando fiamme e fumo invadevano tutta la zona.

Precedentemente, nella stessa regione, gli Interamwe avevano completamente saccheggiato il villaggio di Burhini, svuotando le abitazioni, la parrocchia e il piccolo ospedale. Anche i malati, sorpresi nel sonno, hanno dovuto sfollare.

Mons. Belo lascia la sua diocesi

Il Papa ha accettato la richiesta di mons. Ximenes Belo di essere esonerato dalla responsabilità pastorale della diocesi di Dili, nel Timor Est. Più volte mons. Belo aveva chiesto al Papa di potersi ritirare per ragioni di salute.

Lo stesso vescovo, in un comunicato, ha espresso la sua preoccupazione: "Sto vivendo un periodo faticoso sia dal punto di vista fisico che mentale. Ho bisogno di un lungo periodo di recupero".

Mons. Belo ha attualmente 54 anni. Dal 1988 ha guidato la diocesi di Dili, dedicandosi alla difesa della gente del Timor Est, meritando il Premio Nobel per la pace (1996). Timor Est, ex colonia portoghese, invasa dall’Indonesia nel 1975, ha ottenuto l’indipendenza il 20 maggio scorso, dopo una lunga guerra civile che ha causato oltre 200.000 morti e distruzioni indescrivibili.

Per quel popolo e per il suo vescovo è stato un periodo veramente drammatico, le cui conseguenze tardano a guarire. Recentemente, il tribunale indonesiano creato appositamente per giudicare i crimini commessi durante la repressione, ha prosciolto da ogni accusa 10 imputati, tutti militari e poliziotti. Finora gli unici condannati a brevi pene sono due est-timoresi, quasi capri espiatori di tutta la triste vicenda.

Mons. Belo è stato il secondo vescovo locale di Dili, succedendo a mons. Martinho da Costa Lopes che era stato costretto all’esilio per aver denunciato le gravi e ripetute violazioni dei diritti umani a Timor Est.



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