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Non posso essere razzista: Due rischi per noi cristiani di oggi

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Se uno mi dicesse "sei un razzista!", probabilmente reagirei con energia, risentimento e convinzione. Perché un cristiano - per di più, prete e missionario - dovrebbe sentire quest’accusa come un insulto bruciante alla sua fede e alla sua stessa cultura.

No, un cristiano non può essere razzista. Sarebbe una rozzezza intollerabile, sia dal punto di vista intellettuale che religioso.

Un razzismo "dabbene"

Eppure, da qualche tempo questa incompatibilità tra cristiano e razzista si sta stemperando, fino a manifestare sentimenti razzisti, anche se continuiamo a negare di esserlo. L’ho percepito parlando con gente che viene in chiesa, che appartiene a gruppi cattolici, e che guarda a noi missionari con ammirazione. Me ne sono accorto anche conversando con alcuni preti e religiosi.

Probabilmente si sta infiltrando tra noi un razzismo elegante, tollerabile, "per bene"…, che non fa più vergogna e che riesce a stare insieme con la pratica religiosa. Anzi sembra essere una soluzione intelligente. Esso ha due forme.

1.“Siamo superiori”

Ogni religione corre il rischio di scivolare nell’intolleranza e nell’esclusione, fino a sconfinare nella “guerra santa”. C’è un modo di parlare di Dio, della religione e del proprio gruppo di appartenenza che è aperto, dialogico e tollerante. Ma c’è anche una maniera di affermare tutto questo in modo tanto perentorio che si finisce per sentirsi superiori e migliori di coloro che hanno una fede diversa. In questo caso, il rischio è che il discorso religioso si chiuda e diventi esclusivo.
I meccanismi razzisti sono sempre in agguato in tutte le religioni, e - lo sappiamo bene - anche nei gruppi che rifiutano la fede e ogni forma religiosa. Il rischio c'è anche per i cristiani. Anche il grande teologo san Tommaso d'Acquino ha affermato “solo la verità ha diritto all’esistenza e alla propaganda e mai invece l’errore”. Egli tuttavia non ha mai applicato questo principio in modo esclusivista.

2.Dobbiamo difenderci

Ma c’è un rischio più sottile, più comune, in cui possono incorrere anche persone di chiesa e di cultura, quando affermano che noi abbiamo un'identità e una cultura cristiana per la quale ci sentiamo italiani o europei e non africani o asiatici. Perciò a livello di gruppo dobbiamo difenderci da chi viene tra noi e mette a rischio questo tesoro culturale.

Il discorso - lo si vede subito - è doppiamente ambiguo e fuorviante. Sembra giusto, ma non lo è. Anzitutto, la cultura di un popolo non è una realtà fissa o immutabile; e poi, questo discorso suppone che tutti siamo gelosamente attaccati a quella fede che è il terreno su cui la cultura è cresciuta…

Cosa che è tutta da dimostrare: si tratta di un'identità cristiana convinta e testimoniata, oppure di "coreografia"?

Cosa c'è sotto

La verità è che noi abbiamo paura di essere invasi da islamici, cinesi e cingalesi, oltre che dagli africani…, clandestini o regolari che siano. E allora ogni argomento va bene, anche quello della religione, che magari non interessa più di tanto nella vita personale di tutti i giorni. Stiamo riscoprendo in questi ultimi tempi un cristianesimo di riflusso che viene usato come difesa collettiva. Persone che non hanno mai speso una parola in difesa del vangelo, sostengono posizioni xenofobe, magari citando dichiarazioni di vescovi e preti, per quel che fa loro comodo…

Dimentichiamo così che siamo cristiani, fratelli universali. E allora, in nome della fede, ci si sente autorizzati a disprezzare chi ruba lavoro agli italiani (che magari quel lavoro non lo farebbero proprio!), e ci mettiamo dietro a chi dichiara che l’unica soluzione è spedirli tutti a casa, o addirittura dare loro la caccia... E tutto questo per salvare la nostra cultura cristiana! Ma non è così.

Qualcosa di meglio

Non è forse meglio salvare la nostra fede ravvivandone la forza caritativa e dialogica? Non è più evangelico aprirci al dialogo della carità con coloro che approdano da noi, alla ricerca di una vita migliore?
Ormai ci avviciniamo alla Quaresima, il tempo della conversione. L’abbraccio del Cristo crocifisso è rivolto a tutti senza eccezione. La croce cristiana coniuga in tutti i tempi - al passato, al presente e al futuro - quattro verbi essenziali: accogliere, integrare, amare e condividere.



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