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“Noi siamo tutti qui dentro…”

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Il 21 maggio Mellito, frazione di Grumo Appula (BA), farà festa a p. Nicola Colasuonno che celebra il 50° di ordinazione presbiterale, desideroso ancora di ripartire per la sua missione del Congo, dove ha già speso 25 anni della sua vita. Abbiamo chiesto a lui di parlarci di ripercorrere la sua vita.

Sono nato a Grumo Appula, in Puglia, tra olivi e mandorli, fichi e viti, là dove l’acqua scarseggia, ma il vino è abbondante e il pane si sposa bene con l’olio e il pomodoro. Eravamo cinque figli. Mio padre Ciccillo, mi regalò una bicicletta bassa proprio per ragazzi… Era l’unica in tutto il paese e lui mi insegnava a guidarla. Io ne ero fiero. Mamma Rosina era stimata da tutti perché metteva pace in tutte le famiglie. Le piaceva cantare le canzoni di Sanremo.

Fu un’infanzia felice soprattutto in estate alla festa di San Lorenzo, quando il quartiere si riempiva di angurie, noccioline americane, gelati e ghiaccioli. Un giorno zia Anna, che mi insegnava le preghiere e mi parlava di un Dio che ci guarda sempre e ci protegge, mi presentò all’arciprete per imparare a fare il chierichetto. Imparai a rispondere alla Messa in latino, a spostare il messale pesante da una parte all’altra dell’altare e poi tante processioni… Mi alzavo presto di mattina per servire la Messa e poi di corsa a scuola. A 11 anni entrai nel seminario di Bari per la gioia di zia Anna. Mia madre non era tanto d’accordo perché doveva trovare i soldi per due figli in collegio e uno in seminario.     

Una sera, in seminario venne un prete. Barba bianca e volto simpatico, originario di Lugo di Romagna. Era p. Alfeo Emaldi. Cominciò a raccontarci della sua missione in Cina, dov’era arrivato nel 1926, a 24 anni. Il suo accento romagnolo e le sue avvincenti storie mi entusiasmarono. A Cheng-Chow, sulle rive del fiume Giallo, si ambienta subito, imparando prestissimo la lingua immergendosi nelle più piccole realtà del territorio. Per la dedizione e la gioia che diffondeva si fa subito amare, tanto che lo chiameranno “Padre Gen Manté”, il “Padre della bontà”. Nel 1951, viene arrestato dal governo cinese. Sottoposto a interrogatori e torture, p. Alfeo si tagliò la lingua per non tradire i cristiani e non svelare il segreto inviolabile del confessionale. Ma muto non lo sarà mai, anzi, riprende quasi subito a parlare. La decisione fu presto presa: “Sarei diventato un missionario saveriano, come p. Alfeo”.                                                                                                         

A 17 anni, entrai dai missionari di San Francesco Saverio. Lasciate le Murge, mi ritrovai nelle praterie del Midwest, a Milwaukee, nel Wisconsin (USA). Nel 1973, sono ordinato presbitero, pronto ad offrire e dare a piene mani la misericordia di Dio in giro per il mondo. La mia prima missione, nel 1978, è stata nella Repubblica Democratica del Congo, allora Zaire, e precisamente a Kitutu, diocesi di Uvira, con la tribù dei Warega della foresta.

pu ordinazione copertinaM’innamorai delle piccole comunità cristiane, un dono dello Spirito Santo all’Africa. Durante la Quaresima e l’Avvento, facevamo i safari per visitare queste comunità lontane e amministrare i sacramenti. Kitutu è una zona aurifera, sfruttata dalle società minerarie, con una strada orribile, ma l’umanità di quelle comunità, che si rivela nell’accoglienza e nella ricerca di un equilibrio fra fede e tradizioni, mi è stata di grande insegnamento. Per la Quaresima, davamo come penitenza di piantare almeno dodici alberi da frutta. Una mamma, un giorno, si presentò con un enorme ananas e mi disse: “Padiri Nicola, questo è il frutto della penitenza dell’anno scorso, te lo dono”.                                                                                                                                                                    

Nel 1986 venni chiamato a Chicago, dove divento rettore della Teologia internazionale saveriana. Prima di lasciare il villaggio, ho ricevuto in dono una borsa fatta di erbe secche che i Warega usano portare quando vanno a caccia nella foresta. Mi dissero: “Sappiamo che vai a Chicago, un grande villaggio lontano. Ti diamo questa ndala, portala con te perché noi siamo tutti qui dentro”.

Nel 1992 sono tornato in Congo RD, da dove, insieme a due missionari e ad altre diecimila persone, sono fuggito nell’ottobre 1996, allo scoppio della Prima guerra del Congo. Con noi avevamo solo una borsa con poche cose. Lungo il percorso siamo stati minacciati di morte dalle milizie locali, i mai-mai. Un pastore protestante ci difese. Non posso dimenticare un bravissimo catechista, responsabile della diaconia di Makobola, Ruphin Ndama, poi ucciso mentre tornava a recuperare l’Eucarestia e altri oggetti sacri della sua chiesa. Ruphin ci accolse nella sua capanna, ci curò e ci nutrì per una settimana. Di notte dormiva davanti alla porta. Ci diceva: “Se vorranno farvi del male, dovranno prima passare sul mio corpo”.
Tornato in Italia, ho lavorato ad Ancona, Reggio Calabria e a Brescia, qui con l’incarico di direttore della rivista saveriana Missione Oggi.

pu mukwege romaNel 2010, dopo la morte della mamma, sono tornato di nuovo in Congo RD, parroco di Panzi a Bukavu. Il quartiere è nato una ventina di anni fa e ha circa 45mila abitanti, il 90% dei quali fuggiti dai gruppi armati e dalle violenze. Il 60% della popolazione è al di sotto dei 25 anni. Il quartiere si è sviluppato senza piano urbanistico, con una grande strada nazionale che lo divide in due. Il lavoro principale è il piccolo commercio. Si compra in Ruanda e si vende al dettaglio. Il trasporto di ogni genere di oggetto avviene sulla testa o sul dorso, sulle moto o su mezzi di trasporto creativi. Le strade sono tutte un mercato.

Le famiglie sono numerose (sette, otto, nove figli). Tutti devono andare a scuola, con molti sacrifici da parte dei genitori. Alcuni ragazzi arrivano all’università, ma poi manca il lavoro. Per questo, la parrocchia di Panzi ha investito in tre scuole secondarie professionali, con specializzazioni in pedagogia, elettricità, elettronica, belle arti, meccanica, commerciale e geometra. Il giovane che ha frequentato queste scuole può trovare un’occupazione nella grande città di Bukavu.                                                                                                                               

La domenica, la parrocchia è sempre piena. Alle sei di mattina sono circa duemila le persone che si radunano per cantare, danzare e pregare. È la festa di incontrarsi e riconoscere il Regno di Dio che avanza.



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