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La vocazione a 360 gradi, Cremona e i saveriani: una storia infinita

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Ero entrato anch'io nel seminario di Cremona, come tanti altri ragazzi, all'età "birichina" di 11 anni, dalla parrocchia di Commessaggio, dove era parroco lo zio, don Luigi Brioni. Fin da piccolo, all'oratorio del Silvio Pellico presso la cattedrale di Cremona, non avevo altro desiderio che essere "da grande" come lo zio, che prete lo era da cima a fondo, 24 ore al giorno, con uno zelo e un'organizzazione pastorale affascinante per la mia giovane mente.

In seminario, nel 1949, mi trovai compagno di vita e di preghiera, di studi e di giochi con altri trenta compagni in "camerata sesta". Ci stavo bene in seminario, anche se i geloni non mancavano d'inverno e le minestre avevano spesso occhioni di strutto spalancati... Mi piaceva giocare, gustavo le celebrazioni in cappella e a scuola non mancavano i professori simpatici.

Una simpatia fin da piccolo

Un interessante aspetto della nostra vita seminaristica era l'apertura genuina alle missioni, resa vivace dal circolo missionario "Ripari" attraverso i gruppi missionari, le lotterie benefiche e soprattutto con le visite dei missionari al nostro seminario. Arrivando da una parrocchia particolarmente ricca di spirito missionario, non feci fatica ad avere simpatia per le missioni.

Ai tempi dell'arcivescovo Cazzani, la simpatia missionaria era considerata "normale" per la nostra formazione sacerdotale. Ricordo ancora il professor don Nolli, che una sera ci indicava i missionari come persone che avevano "la poesia della vocazione", la poesia del lasciare tutto per il Tutto. Quindi mi fu facile tenermi in contatto con i saveriani di Parma per un possibile ingresso tra loro.

Non avevo altro desiderio...

All'inizio della terza liceo, con un po' di paura ma anche con determinazione, scrissi a mio zio, ormai abate mitrato di Casalmaggiore, per informarlo del mio desiderio di diventare saveriano. Lui me lo sconsigliò perché la mia salute era abbastanza fragile per sostenere le fatiche della missione; ma concludeva così la sua lettera di risposta: "E io prego che tu non ti abbia a pentire della tua decisione e io del mio permesso!".

Queste parole mi hanno accompagnato per tutti questi 56 anni di vita missionaria. Così, due o tre giorni prima della fine dell'anno scolastico, annunciai al rettore e a tutti che avrei lasciato il seminario per i saveriani di Parma.

Quasi un'epidemia contagiosa

Non ero però l'unico seminarista "saveriano", perché a sorpresa mia e di tutto il seminario, si aggiungevano p. Sandro Parmiggiani e p. Carlo Lucini della stessa classe. E nessuno di noi sapeva dell'altrui vocazione! Quei giorni furono una festa per tutti, professori e seminaristi, che gioirono per la nostra decisone, di cui erano essi stessi orgogliosi.

Solo mons. Bolognini, da cui andammo per ricevere la benedizione, ci considerò un po' "figlioli prodighi", preoccupato di non avere abbastanza vocazioni sacerdotali per la diocesi. Qualche mese dopo, egli ci proibì pure di scrivere lettere "infiammatorie" a chi era rimasto in seminario!

Quindi, nel giugno 1957, dopo otto anni di studio dalla prima media alla terza liceo classico, avevo concluso l'esperienza al seminario di Cremona. Questo non voleva dire abbandonare la vocazione sacerdotale, ma qualificarla diversamente con la missione: sempre con Cristo, a 360 gradi.

Che gioia tornare in quel quadrato!

Dopo un anno di noviziato saveriano, il 15 settembre del 1958 abbiamo pronunciato la professione religiosa, alla fraterna presenza dei nostri compagni di classe che avevamo lasciato in seminario. Il 15 ottobre 1961 ricevemmo l'ordinazione sacerdotale insieme a un altro cremonese, p. Emilio Paloschi, e altri 20 saveriani. Pochi giorni dopo, tutti e quattro andammo in seminario per celebrare insieme e solennemente una delle nostre "prime Messe".

Che gioia quel giorno tornare in quel quadrato, che mi aveva accolto e formato per otto anni e mi aveva dato la voglia di condividere la bontà di Cremona con tutto il mondo!



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