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LA PAROLA
Giovanni prese la parola dicendo: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito perché non ti segue insieme con noi”. Ma Gesù gli rispose: “Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi”. Mentre stavano compiendosi i giorni in cui si sarebbe elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero ricerverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio (Lc 9,49-56).


Giovanni è uno dei tre discepoli che videro il volto trasfigurato di Cristo sul Tabor. Aveva pure udito parlare Gesù, insieme a Mosè e ad Elia, del suo prossimo “esodo”, vale a dire del passaggio attraverso la morte. Ma si sa: le parole del dolore si scordano presto, non così le visioni di magnificenza. Prima partecipa alla discussione su chi fosse il più grande, poi se la prende con un tale che operava esorcismi senza essere dei loro. Non sopporta che ci sia un outsider, uno senza il marchio DOP e che, oltretutto, riesca a fare quello in cui loro hanno poc’anzi fallito: scacciare il demonio da un ragazzo epilettico.

Agli occhi di Giovanni questo è intollerabile. Rivendica il monopolio sul potere esorcistico, l’unico potere che Gesù ha concesso finora ai discepoli. Se altri riescono a usarlo senza appartenere alla cerchia dei chiamati, allora a cosa serve seguire il Maestro? Ci sarà o no una differenza? Ebbene, dice Gesù “non glielo impedite”. Anche se l’esorcista anonimo non faceva parte del gruppo, non era neppure loro nemico. In tempi di odio e di persecuzioni, non essere contro era già un essere a favore. Non era poco.

E giungiamo così a una svolta fondamentale del Vangelo di Luca. Dopo aver parlato con Mosè ed Elia del suo esodo, Gesù prende la ferma decisione di intraprendere il cammino che l’avvrebbe portato a essere “tolto dal mondo” (9.51). Sapeva a cosa sarebbe andato incontro, mancava la determinatezza di realizzarlo. “Indurì il volto”, dice Luca. Da questo momento in poi, Gesù si identifica con la figura del Servo descritta da Isaia (50,7) che indurisce il volto per non restare deluso e saper resistere agli insulti e agli sputi. È un itinerario iniziato fin dai primi annunci della passione. Ora, è tempo di portarlo a compimento.

L’immediato riscontro di quella decisione è la mancata accoglienza da parte di un villaggio samaritano. Un gruppo di galilei che lasciava la Giudea per dirigersi a Gerusalemme, appariva agli occhi dei Samaritani come stranieri tendenzialmente ostili. Giacomo e Giovanni rincarano la dose. Non basta escludere l’esorcista solitario, ora bisogna distruggere nel fuoco chiunque si opponga ai loro piani. L’aveva già fatto il grande profeta Elia (2Re 1), perché non dovrebbe farlo Gesù che si era intrattenuto a parlare alla pari con lui sul monte?

Gesù rimprovera con fermezza la loro sete di vendetta. Il suo volto indurito non significava né indifferrenza né perdita della pietà. Era piuttosto un indurimento nell’amore fino all’estremo della Croce, un riaffermarsi come viscere di misericordia del Padre e nulla aveva a che spartire con la violenza. Era tuttavia un cammino solitario il suo: “Si voltò e li rimproverò”. Alla fine, la decisione risoluta di andare a Gerusalemme è sua, solo sua. Nulla fanno i discepoli per renderla più agevole, nulla possono o vogliono fare per morire al suo posto. Vi sono sempre nella vita prove che mettono a nudo la nostra verità, la stoffa di cui siamo fatti. Lì siamo irrimediabilmente soli. La risposta è soltanto nostra.



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