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L’esperienza della missione

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Padre Daniele Cambielli - di origini Lodigiane, ma stabilizzato in provincia di Lecco - ha fatto visita al nostro centro di spiritualità missionaria a Tavernerio. Non finiresti mai di ascoltarlo, in particolare quando ti fa capire che il vangelo riempie di gioia il cuore della gente in Indonesia, quando sente risuonare quelle sante parole per la prima volta.

Padre Daniele ha donato il suo tempo e la sua vita al vangelo e all’Indonesia, la nazione più musulmana del pianeta, anche quando il governo chiedeva ai missionari stranieri di lasciare il Paese. La prima volta se lo era sentito dire quando abitava su un’isoletta nell’arcipelago delle Mentawai, intento a imparare le abitudini degli isolani, le diversità di cibo, di cultura e di credenze… Ascoltiamolo.

La fretta della missione

Ero da poco arrivato in Indonesia e mi limitavo a tenere incontri periodici con i maestri, quando venne emanato un decreto del ministro della religione che imponeva ai preti stranieri di formare preti indonesiani e lasciare il Paese entro tre o cinque anni. Così, l’Indonesia avrebbe chiuso le porte ai preti cattolici, provenienti dall’estero.

Il decreto di espulsione mise addosso a noi missionari la fretta della missione. L’evangelizzazione era appena cominciata. Se noi missionari andiamo via, cosa succederà? Oltretutto, il tempo che il governo metteva a nostra disposizione per formare i preti locali ai valori della fede, dell’amore e della speranza, non era così abbondante…

L’incontro con le donne

Don Bruno Maggioni di Como era arrivato in Indonesia, per ricordare a noi missionari che la domanda centrale del vangelo secondo san Marco era proprio questa: “Chi è Gesù?”. Alla fine, ci siamo convinti che valeva la pena raccontare alla gente le parole della Bibbia, che avevano fatto ardere il cuore a noi missionari. Agli indonesiani noi missionari lasceremo, in dono, “Gesù”.

Invece di partire da una catechesi per i bambini, abbiamo iniziato a incontrarci con le donne dei villaggi. Le mamme sono catechiste per natura. E così, nella verde isola di Sikakap, dove non esisteva un libro in lingua locale, una suora provvide a radunare le donne. Pian piano ci ritrovammo attorno a tre domande:

“Chi è Gesù per me? Cosa mi attrae di Gesù? Quando l’ho incontrato?”.

La vittoria sugli spiriti

Dopo aver ascoltato le loro risposte, insieme alle donne abbiamo cominciato a incontrare la gente dei villaggi. Sempre, sul vangelo di Marco. Le donne avevano il compito di imparare a memoria un piccolo brano di vangelo e di insegnarlo agli altri, secondo le loro capacità. Chi sapeva disegnare cercava anche di visualizzare i personaggi, i luoghi e le azioni raccontati nel vangelo.

Invitavamo la gente agli incontri, enunciando i temi in lingua mentawaiana. Ciò che attraeva la gente era questo: “Gesù vince sempre gli spiriti cattivi che si nascondono tra il fogliame della foresta, pronti a uscire per dar fastidio agli abitanti dell’isola”.

Le paure e i desideri

Così ho scoperto che per i mentawaiani questa credenza era molto importante: gli spiriti fanno loro paura e danno loro fastidio. Dopo questa scoperta, ho cercato di catalogare i nomi degli spiriti, cosa fanno contro la gente, e cosa fa la gente per tenerli lontano.

Grazie agli incontri sul vangelo, io ho potuto capire qualcosa della loro cultura, delle loro paure, dei loro desideri. Mi colpiva anche la spontaneità con cui le donne interpretavano i personaggi evangelici secondo la propria cultura e come sapevano descriverli con i canti nativi della loro isola...

Soprattutto, la gente si rendeva conto che Gesù poteva davvero aiutarli nella loro vita.



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