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L'angolo del silenzio: Che senso ha "fare missione"?

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È autentico il missionario obbediente

La radice di ogni vocazione per la missione nasce da Cristo. Ma è lecito domandarsi: che senso ha fare missione oggi?

A prima vista sembrerebbe che "far missione" voglia dire soprattutto andare e fare tante cose. Ma se riflettiamo bene sulle parole dell'apostolo Paolo (che possiamo leggere direttamente nella sua lettera ai Filippesi, capitolo 2, versetti 6 - 8), allora comprendiamo che "far missione":

  • non è tanto andare, ma credere;
  • non è tanto fare, ma obbedire.

Obbedire vuol dire chinarsi, piegarsi. Vuol dire cioè, scendere in un progetto non proprio e consacrarsi in esso per amore, anima e corpo, fino alla morte. Così ha fatto nostro Signore Gesù Cristo.

Una dinamica misteriosa

Nell'inno a Cristo "Missionario del Padre", l'apostolo Paolo mette bene in evidenza il punto sul quale fa perno tutta la missione di Gesù. Il perno della sua missione consiste anzitutto e soprattutto nell'obbedire al Padre: Gesù si è fatto uomo e ha obbedito al grande progetto del Padre. Ha obbedito fino alla morte, e alla morte di croce. È il martirio di Gesù: per dare la vita al mondo, Gesù ha sacrificato la propria vita obbedendo.

Su questa realtà dell'amore infinito di Cristo si basa la consacrazione e il martirio di ogni discepolo che si dedica alla missione. È la dinamica cristiana della morte e della vita: "il seme che muove per produrre frutto". Il beato Conforti, fondatore dei missionari saveriani, si esprime così: "La consacrazione religiosa è come una specie di martirio, a cui, se manca l'intensità dello spasimo, supplisce la continuità di tutta la vita".

Il surrogato della missione

Possiamo quindi affermare anche oggi che il discepolo è missionario nella misura in cui obbe­disce al Signore morto e risorto, oggi invisibile, attraverso la figura opaca di chi lo rappresenta oggi in modo visibile.

Pertanto, solo una missione vissuta nella fede e in comunione con Cristo, attraverso l'obbedienza alla Chiesa e ai superiori concreti, è una missione evangelica autentica.

Senza questo spirito di obbedienza, che imita il modello del Signore Gesù, la missione - sia personale che di gruppo - non è più una testimonianza fatta in nome di Cristo. È piuttosto un surrogato della missione.

Al massimo, può somigliare a una buona opera di assistenza di tipo umanitario.



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